Si torna a parlare di assegno divorzile e la Sezione Sesta della Suprema Corte, con la sentenza 01/19/2021 n. 26682, che qui si segnala, conferma due principi molto importanti:
1) il diritto del coniuge all’assegno divorzile, quando l’età e l’inesperienza determinano un’incolpevole incapacità lavorativa;
2) ai fini dell’assegno divorzile, o più precisamente ai fini della sua esclusione, non rileva l’eventuale convivenza more uxorio dell’avente diritto con un’altra persona quando detta convivenza non è accompagnata da un serio progetto di vita comune.
Come si può vedere si tratta di due principi piuttosto decisivi.
Tuttavia, mentre quello dell’incolpevole incapacità lavorativa, diciamo, è principio ormai noto ed affermato nella giurisprudenza più evoluta; il secondo, ossia quello relativo alla convivenza more uxorio con una terza persona, appare parzialmente innovativo, poichè, non molte pronunce giurisprudenziali si sono spinte a verificare se essa fosse o meno accompagnata da un serio progetto di vita insieme, per lo più limitandosi ad escludere l’assegno in questione a fronte di una comprovata convivenza.
In effetti sotto il profilo probatorio non sembra agevole fornire la prova di quest’ultima circostanza, e va detto che, anche nel caso di specie che ha condotto in sede di legittimità alla pronuncia in esame, ritenuta raggiunta la prova della sostanziale convivenza per il fatto – dimostrato – che il nuovo compagno della ex coniuge si ferma in più occasioni, anche a dormire presso l’abitazione della predetta, non è chiaro come i giudici siano arrivati ad escludere la serietà del progetto di vita comune della coppia convivente.
Sembra che a questa conclusione siano giunti solo perchè dall’istruttoria sarebbe emerso che il convivente trascorreva alcuni giorni anche da solo o con il proprio figlio in un’altra casa.
Quanto al primo profilo (incapacità lavorativa incolpevole), nel caso di specie, il giudice di primo grado, considerava incolpevole l’incapacità lavorativa della ex coniuge in considerazione dell’età e dell’annosa inesperienza, frutto presuntivo di una scelta coniugale condivisa, tale che le rendeva oggettivamente assai difficile, se non impossibile, il rientro sul mercato del lavoro, per cui le aveva riconosciuto alla ex moglie un assegno divorzile di € 900,00 mensili, poi ridotto a € 400,00 dalla corte territoriale, ed il giudice di legittimità ha confermato quest’ultima decisione affermando che:
«il motivo è manifestamente infondato avendo la Corte di Appello applicato correttamente i principi stabiliti dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 18278/2018, secondo la quale il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge – cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, – richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto».
Con riferimento al secondo profilo (la convivenza) la sentenza di secondo grado veniva impugnata lamentando che la Corte di Appello non aveva considerato quale causa di esclusione dell’assegno divorzile la convivenza intrattenuta dalla ex coniuge con il nuovo compagno, la quale aveva avuto inizio addirittura prima della separazione ed era proseguita ininterrottamente anche dopo.
La Corte territoriale, infatti, aveva confermato l’accertamento svolto dal Tribunale, ritenendo che
la coppia ha una limitata condivisione del budget e della vita. Di fatti, il M., se da una parte si ferma in modo frequente anche la notte dalla S., dall’altra, trascorre la sua vita altrove, nella propria casa, da solo o con il figlio.
Ora, sul punto di doglianza ritiene la Corte di Cassazione, che
il controricorrente non fornisca alcun elemento concreto in grado di provare la stabilità della convivenza, prospettando esclusivamente una diversa lettura dei fatti di causa sulla base della testimonianza del figlio – P.M., la cui efficacia probatoria è stata pienamente valutata dal giudice di appello che non l’ha ritenuta dirimente ai fini della prova della stabile convivenza.
Documenti & Materiali
Scarica la sentenza Cass. Civ., Sez. VI, 01/10/2021, n. 26682