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CASS. CIV., SEZ. III, 12/06/2020, N. 11291
«In tema di opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi, il decreto con il quale – ai sensi rispettivamente dell’art. 615 c.p.c., comma 2 e art. 618 c.p.c., comma 1 – il giudice dell’esecuzione fissa davanti a sé l’udienza per la fase sommaria, assegnando un termine perentorio per la notificazione del ricorso e dello stesso decreto all’opposto, non è soggetto a comunicazione – cura della cancelleria al ricorrente. Pertanto, il ricorrente che, non attivandosi per prendere cognizione dell’esito del proprio ricorso, lasci scadere il termine perentorio fissato con tale decreto incorre nella declaratoria di inammissibilità dell’opposizione proposta»
FATTI DI CAUSA
Nell’ambito di un processo esecutivo fondiario pendente innanzi al Tribunale di [Omissis] interveniva la Curatela del fallimento [Omissis] s.r.l. per richiedere l’assegnazione in prededuzione delle somme necessarie al pagamento dell’ICI e dell’IMU. Avverso il provvedimento di diniego, la Curatela proponeva opposizione agli atti esecutivi, chiedendone la sospensione.
Il giudice dell’esecuzione, pronunciandosi con Decreto 6 agosto 2015, rigettava inaudita altera parte l’istanza di sospensione e fissava l’udienza di comparizione delle parti per il giorno 1 settembre 2015, assegnando di un termine alla Curatela per provvedere alla notifica del ricorso e del pedissequo decreto alle controparti. Ordinava alla cancelleria di provvedere alla comunicazione del decreto all’opponente.
All’udienza così fissata non compariva nessuno e il giudice dell’esecuzione pronunciava l’inammissibilità dell’opposizione.
La Curatela del fallimento [Omissis] s.r.l., deducendo la mancata comunicazione da parte della cancelleria del Decreto 6 agosto 2015, faceva istanza al giudice dell’esecuzione per essere rimessa in termini e aver assegnato un termine per introdurre il giudizio nel merito; in subordine, chiedeva la fissazione di un’ulteriore udienza innanzi allo stesso giudice dell’esecuzione, ai sensi degli artt. 309 e 181 c.p.c.
Il giudice dell’esecuzione rigettava l’istanza di rimessione in termini, ma integrava il proprio provvedimento, assegnando all’opponente termine di 90 giorni per instaurare il giudizio di merito.
Il giudizio veniva ritualmente introdotto e, a conclusione dello stesso, il Tribunale di [Omissis] dichiarava inammissibile l’opposizione, ritenendo che la mancata notificazione del ricorso nei termini fissati nel decreto di comparizione delle parti relativo alla fase sommaria valesse quale rinuncia alla domanda.
Avverso tale sentenza la Curatela del fallimento [Omissis] s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, illustrati da successive memorie ex art. 378 c.p.c. La [Omissis] s.r.l. ha resistito con controricorso.
Le altre parti intimate non hanno svolto attività difensiva.
Il Pubblico Ministero ha concluso come riportato in epigrafe, anche mediante conclusioni scritte che sono state anticipate alle parti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 Con il primo motivo si deduce la violazione degli artt. 175,136, 737 e 738 c.p.c., in combinato disposto con gli artt. 631,181, 291 e 309 c.p.c.
Ritiene la Curatela ricorrente che il Tribunale sia caduto in errore nell’affermare che il decreto di fissazione dell’udienza di comparizione delle parti nella fase sommaria non dovesse essere comunicato alla parte ricorrente, mancando una norma che lo preveda. La circostanza che alla fase sommaria dell’opposizione si applichi, ai sensi dell’art. 185 disp. att. c.p.c., il rito camerale non escluderebbe – secondo la ricorrente – che la comunicazione del decreto da parte della cancelleria sia dovuta, a maggior ragione quanto è stata disposta espressamente dal giudice dell’esecuzione, come nel caso di specie è avvenuto.
In ogni caso, assume ancora la Curatela, la mancata comparizione delle parti avrebbe dovuto indurre il giudice dell’esecuzione a fissare una nuova udienza ai sensi dell’art. 631 c.p.c.
Il motivo è infondato.
1.2 La giurisprudenza di questa Corte è saldamente dell’avviso che il decreto di fissazione dell’udienza camerale non debba essere comunicato. Infatti, “nei procedimenti camerali, come quello di cui si tratta, non è previsto un onere di comunicazione al difensore del ricorrente, a cura della cancelleria, della data di fissazione della udienza: il giudice è tenuto solo al deposito del decreto, ma non anche a disporre la relativa comunicazione, incombendo sul ricorrente l’obbligo di attivarsi per prendere cognizione dell’esito del proprio ricorso” (Sez. U, Sentenza n. 5700 del 12/03/2014, Rv. 629676-01). Del resto, l’art. 134 c.p.c., comma 2, prevede espressamente che la cancelleria debba provvedere alla comunicazione dell’ordinanza (come risulta pure dalla rubrica della disposizione), mentre l’art. 135 c.p.c., nel regolare la forma e il contenuto del decreto, non contiene un’analoga previsione, così implicitamente evidenziando che in ciò sta una delle specifiche differenze fra le due tipologie di provvedimento.
Invero, la citata sentenza delle Sezioni unite prosegue osservando che, in caso di mancata comparizione di entrambe le parti (quindi anche del ricorrente, che non ha avuto notizia dell’udienza fissata dal giudice), “non potrà che adottarsi lo strumento di cui all’art. 181 c.p.c., previsto nell’ordinamento processualcivilistico per tali ipotesi, pur se anch’esso dettato con riferimento all’ordinario processo di cognizione, ma la cui applicazione non è inibita, con riguardo agli specifici procedimenti camerali di cui si tratta, da alcun impedimento logico o giuridico, ed è, anzi, imposta dalla identità di ratio. Non potrebbe, per converso, in assenza di una indicazione in tal senso da parte dell’art. 737 c.p.c., in tema di procedimenti camerali, la mancata comparizione delle parti essere considerata una tacita rinunzia al ricorso: un tale effetto provocherebbe conseguenze ben più rigorose di quelle previste per l’appellante nel procedimento di cognizione, in ordine al quale, a norma dell’art. 348 c.p.c., comma 2, l’improcedibilità viene dichiarata quando questi ometta di comparire non solo alla prima udienza, ma anche a quella successiva, fissata dal giudice”.
Tuttavia, con specifico riferimento all’omessa comparizione delle parti nella fase sommaria dell’opposizione agli atti esecutivi, è stato correttamente osservato che la sanzione processuale non è mai quella dell’inammissibilità del ricorso, in quanto il giudice deve assegnare “in ogni caso” (art. 618 c.p.c., comma 2) un termine perentorio per l’inizio del giudizio di merito, L’inosservanza del termine per notificare il ricorso ex art. 617 c.p.c., stabilito dal giudice con il medesimo decreto che fissa l’udienza innanzi a sé, è rilevante solo ai fini della fase sommaria, ma non preclude che sull’azione di opposizione agli atti debba aver luogo lo svolgimento della cognizione piena con il giudizio di merito. Per tale ragione, diversamente da quanto avviene per il rito camerale “comune” di cui agli artt. 737 c.p.c. e segg., in caso di inosservanza del termine per la notificazione del ricorso e del decreto, il giudice dell’esecuzione non può fissare una nuova udienza di comparizione per la fase sommaria, stante la perentorietà del termine di cui all’art. 618 c.p.c., comma 1 (Sez. 3, sentenza n. 20018 del 06/10/2016, Rv. 642609-01).
Del resto, gli artt. 181 e 309 c.p.c., così come l’art. 631 c.p.c., in materia esecutiva, presuppongono tutti che il giudice abbia prova dell’avvenuta instaurazione del contraddittorio, sebbene le parti non siano comparse innanzi a lui. Ben diverso è, invece, il caso in cui il ricorrente non abbia neppure depositato in cancelleria la copia del ricorso notificato alla controparte e, quindi, non vi sia alcuna evidenza dell’avvenuta osservanza del termine perentorio fissato ai sensi dell’art. 618 c.p.c., comma 1, per l’instaurazione del contraddittorio.
Pertanto, correttamente il giudice dell’esecuzione non ha fissato una seconda udienza innanzi a sé per provvedere sull’adozione dei “provvedimenti opportuni” caratteristici della fase sommaria di cui all’art. 618 c.p.c., comma 1, ma ha integrato il proprio provvedimento con cui aveva dichiarato l’inammissibilità dell’opposizione (provvedimento avente valore, evidentemente, circoscritto alla sola fase sommaria), assegnando all’opponente un termine per instaurare il giudizio di merito. Altrettanto correttamente il Tribunale del merito ha rilevato la violazione del termine perentorio di cui all’art. 618 c.p.c., per la notifica del ricorso introduttivo della fase sommaria e, ritenendo che questa fosse necessariamente prodromica al giudizio a cognizione ordinaria (sul punto, si veda il paragrafo seguente), ha dichiarato l’opposizione inammissibile.
1.3 Sulla scorta di quanto fin qui osservato, si deve quindi affermare che il decreto adottato ai sensi dell’art. 618 c.p.c., comma 1, non rientra fra quelli per i quali la legge prevede la comunicazione da parte della cancelleria.
La parte ricorrente insiste, però, sull’affidamento risposto nell’ordine del giudice che, nonostante tutto, aveva mandato alla cancelleria di comunicare il provvedimento.
Tale prospettazione è inammissibile su un piano logico, ancor prima che giuridico.
Infatti, il ricorrente non può dedurre di aver fatto affidamento su una circostanza (l’avere il giudice comunque disposto che la cancelleria comunicasse il decreto) di cui non poteva essere a conoscenza, non avendo – per l’appunto – preso visione o ricevuto comunicazione del provvedimento. D’altro canto, qualora il ricorrente abbia acquisito in qualunque modo notizia del contenuto del decreto, non potrebbe più invocare a proprio favore l’affidamento incolpevole.
1.4 Resta, infine, da affrontare un’ultima questione: se la mancata comunicazione del decreto di fissazione dell’udienza (e contestuale assegnazione di un termine per la notificazione del ricorso alle controparti) potesse giustificare la remissione in termini dell’opponente ai sensi dell’art. 153 c.p.c., comma 2.
In proposito si deve osservare, anzitutto, che tale istanza era stata rivolta al giudice dell’esecuzione, ma non risulta in modo certo che sia stata riproposta al giudice del merito. La violazione dell’art. 153 c.p.c., non è stata neppure specificatamente dedotta con il ricorso, sebbene nell’esposizione delle ragioni si dica che “la mancata notifica del decreto di fissazione può consentire alla parte di essere rimessa in termini” (pag. 14).
Ad ogni modo, qualora si ritenesse che tanto basti ad investire la Corte della questione, la stessa risulterebbe infondata.
Questa Corte ha recentemente affermato che l’istituto della rimessione in termini, previsto dall’art. 153 c.p.c., comma 2, trova applicazione, alla luce dei principi costituzionali di tutela delle garanzie difensive e del giusto processo, in caso di decadenza dai poteri processuali interni al giudizio o a situazioni esterne al suo svolgimento, quale la decadenza dal diritto di impugnazione, ma non anche in caso di decadenza conseguente ad un errore di diritto (Sez. 6-5, Ordinanza n. 4585 del 21/02/2020, Rv. 657317-01). L’errore di diritto per il quale è stato affermato tale principio era costituito dal caso dell’appellante che era decaduto dall’impugnazione per l’avvenuto decorso del termine di cui all’art. 327 c.p.c., nell’erronea convinzione che il predetto termine decorresse dalla comunicazione della sentenza da parte della cancelleria, anziché dalla sua pubblicazione.
L’ipotesi è sostanzialmente sovrapponibile al caso in esame, in cui la remissione in termini sarebbe – in ipotesi – giustificata dall’errore di diritto dell’opponente, consistito nel ritenere infondatamente che il decreto di fissazione dell’udienza innanzi al giudice dell’esecuzione con contestuale assegnazione del termine per la notificazione del ricorso alle controparti dovesse essergli comunicato dalla cancelleria.
A tale orientamento occorre dare continuità, in assenza di ragioni che possano giustificarne la revisione. Pertanto, anche sotto questo profilo il motivo in esame è infondato.
1.5 Va quindi affermato il seguente principio di diritto:
“In tema di opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi, il decreto con il quale – ai sensi rispettivamente dell’art. 615 c.p.c., comma 2 e art. 618 c.p.c., comma 1 – il giudice dell’esecuzione fissa davanti a sé l’udienza per la fase sommaria, assegnando un termine perentorio per la notificazione del ricorso e dello stesso decreto all’opposto, non è soggetto a comunicazione – cura della cancelleria al ricorrente. Pertanto, il ricorrente che, non attivandosi per prendere cognizione dell’esito del proprio ricorso, lasci scadere il termine perentorio fissato con tale decreto incorre nella declaratoria di inammissibilità dell’opposizione proposta”.
2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione degli artt. 617, 618 e 289 c.p.c., nonché del principio del “giusto processo” di cui all’art. 111 Cost. Sostiene la Curatela fallimentare ricorrente che la fase di merito possa esistere a prescindere da quella sommaria; la mancata celebrazione di quest’ultima non varrebbe, quindi, quale rinuncia implicita dell’azione di merito.
Il motivo è infondato.
Il ricorso, infatti, non offre alcuno spunto per discostarsi dal recente approdo di questa Corte, secondo cui la preliminare fase sommaria delle opposizioni esecutive (successive all’inizio dell’esecuzione) davanti al giudice dell’esecuzione (ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 2, art. 617 c.p.c., comma 2 e art. 618 c.p.c., nonché art. 619 c.p.c.) è necessaria ed inderogabile, in quanto prevista non solo per la tutela degli interessi delle parti del giudizio di opposizione, ma anche di tutte le parti del processo esecutivo e, soprattutto, in funzione di esigenze pubblicistiche, di economia processuale, di efficienza e regolarità del processo esecutivo e di deflazione del contenzioso ordinario; la sua omissione, come il suo irregolare svolgimento, laddove abbia impedito la regolare instaurazione del contraddittorio nell’ambito del processo esecutivo ed il preventivo esame dell’opposizione da parte del giudice dell’esecuzione – non solo in vista di eventuali richieste cautelari di parte, ma anche dell’eventuale esercizio dei suoi poteri officiosi diretti a regolare il corso dell’esecuzione – determina l’improponibilità della domanda di merito e l’improcedibilità del giudizio di opposizione a cognizione piena (Sez. 3, Sentenza n. 25170 del 11/10/2018, Rv. 651161-01).
Per tali ragioni, come già anticipato (par. 1.2), correttamente il Tribunale ha dichiarato inammissibile l’opposizione agli atti per violazione del termine perentorio assegnato dal giudice dell’esecuzione per la notificazione del ricorso introduttivo della fase sommaria. Per giungere ad affermare il contrario, infatti, dovrebbe ipotizzarsi che, pur avendo violato detto termine, l’opponente possa introdurre in via autonoma il giudizio di merito ed abbia diritto alla relativa pronuncia, dunque senza la necessità che la sua opposizione sia passata dal vaglio del giudice dell’esecuzione; e ciò si pone in contrasto il citato arresto di questa Corte.
Occorre aggiungere, tuttavia, una precisazione. Il presupposto perché il giudice del merito possa dichiarare l’inammissibilità dell’opposizione è costituito dalla mancanza di prova della tempestiva notificazione del ricorso introduttivo della fase sommaria (oltre che, ovviamente, l’osservanza del termine perentorio assegnato ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 2 e art. 618 c.p.c., comma 1). Invece, se il ricorso è stato tempestivamente notificato, ma le parti non sono comparse innanzi al giudice dell’esecuzione, ciò non incide sull’ammissibilità della domanda e non preclude la possibilità di pervenire a pronuncia nel merito. Infatti, si ha violazione della struttura bifasica (come espressamente considerato dalla citata sentenza n. 25170 del 2018) solo nel caso in cui il ricorso introduttivo non sia stato notificato. La regolare instaurazione del contraddittorio pone le condizioni minime per l’attivazione dei poteri officiosi spettanti al giudice dell’esecuzione in ordine alla verifica dei presupposti di procedibilità dell’azione espropriativa, il cui esercizio si pone alla base della rilevata necessità di assicurare in ogni caso la bifasicità dell’opposizione.
3. Con il terzo motivo la Curatela ricorrente ripropone le doglianze relative al merito della controversia.
Il motivo è assorbito dall’esito dei precedenti. Infatti, una volta confermata l’inammissibilità dell’opposizione per la violazione del termine perentorio entro cui il ricorso doveva essere notificato alle controparti, le questioni relative al merito non possono essere esaminate.
4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Considerata la novità delle questioni trattate, con particolare riferimento al valore dell’ordine impartito dal giudice alla cancelleria di comunicare un provvedimento per il quale non è previsto un simile adempimento, sussistono i presupposti per disporre l’integrale compensazione delle spese processuali.
Sussistono, invece, i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicché va disposto il versamento, da parte della Curatela impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da essa proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550).
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Compensa interamente le spese processuali fra le parti.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.