C.N.F., 09/10/2020, N. 187
«Il procedimento disciplinare è di natura accusatoria, sicché va accolto il ricorso avverso la decisione del Consiglio territoriale allorquando la prova della violazione deontologica non si possa ritenere sufficientemente raggiunta, per mancanza di prove certe o per contraddittorietà delle stesse, giacché l’insufficienza di prova su un fatto induce a ritenere fondato un ragionevole dubbio sulla sussistenza della responsabilità dell’incolpato, che pertanto va prosciolto dall’addebito, in quanto per l’irrogazione della sanzione disciplinare non incombe all’incolpato l’onere di dimostrare la propria innocenza né di contestare espressamente le contestazioni rivoltegli, ma al Consiglio territoriale di verificare in modo approfondito la sussistenza e l’addebitabilità dell’illecito deontologico»
FATTO
Il COA di [Omissis] deliberava di promuovere nei confronti dell’Avv. [Omissis], con delibera consiliare del [Omissis], il procedimento rubricato al n [Omissis] per il seguente capo di incolpazione, testualmente riportato:
“violazione degli artt. 6, 41 e 44 Codice Deontologico Forense, perché, quale Difensore delle parti civili costituite nel procedimento penale pendente presso la Procura della Repubblica di [Omissis] sub n. [Omissis]/ [Omissis] a carico di [Omissis] e [Omissis], ricevuta in data 13.01.2012 la somma di euro 248.000,00 quale risarcimento dei danni subiti dai residenti di [Omissis] e da ripartirsi nella misura di euro 1.000,00 ciascuno, corrispondeva parte della stessa a mezzo bonifici bancari dd 18.05.2012 e dd 28.05.2012, trattenendo parte degli importi, senza il consenso delle parti assistite.
In [Omissis], a partire dal 13.01.2012″.
Il procedimento origina da una segnalazione del 26 maggio 2012, pervenuta al COA di [Omissis] il 5 giugno 2012, a firma di alcuni assistiti dell’Avv. [Omissis], già parti civili nel processo penale per reati ambientali -noto come [Omissis], contro [Omissis] e [Omissis], titolari di [Omissis] Spa”- i quali lamentavano come lo stesso Avv. [Omissis], loro Difensore, incaricato della costituzione di parte civile di cittadini residenti nella [Omissis], avesse trattenuto senza il consenso degli assistiti stessi e contrariamente a quanto concordato, parte delle somme loro liquidate a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, con l’ordinanza ex art. 612 bis c.p. del Tribunale di [Omissis] del 9.11.2011, che aveva ammesso gli imputati ad oblazione.
Con l’esposto/segnalazione, chiedevano anche fattura degli acconti in precedenza corrisposti, risultata poi regolarmente emessa, nonché giustificazione delle spese sostenute dal Difensore, ed annunziavano, peraltro, di aver sporto anche querela, che originava un procedimento penale poi archiviato con decreto dello stesso Tribunale di [Omissis] dei 4 e 5 febbraio, in atti.
Chiesti ed ottenuti i chiarimenti di rito e deliberata l’apertura del procedimento disciplinare per il riferito capo di incolpazione, nelle udienze celebratesi il 16 giugno 2014 e 16 settembre 2014, venivano sentiti i rispettivi testi ed all’udienza del successivo 13 ottobre 2014, fissata per la discussione, il COA, a maggioranza, deliberava di prosciogliere l’Avv. [Omissis] dalle violazioni di cui agli artt. 6 e 41 CdF e di ritenerlo responsabile solo della violazione dell’art. 44 CdF, come contestato, infliggendo allo stesso la pena dell’avvertimento.
I fatti oggetto del ricorso possono mutuarsi da quelli rappresentati nella decisione impugnata e che così si riassumono.
Allorché, nell’autunno dell’anno 2010, un gruppo di cittadini residenti in [Omissis], costituitisi in un comitato, intesero costituirsi parte civile nel procedimento penale intentato per inquinamento ambientale contro gli Amministratori della [Omissis] spa, affidarono il relativo incarico, in esito a pubbliche assemblee allo scopo convocate, all’Avv. [Omissis].
Quanto alle spese legali per la costituzione di parte civile, si ritenne congruo il versamento di euro 50,00 da parte di ciascun firmatario dell’atto di costituzione stesso, a condizione che il numero degli aderenti fosse di almeno 1000/1500.
E sebbene il numero di adesioni raccolte fosse ben minore (565), l’avvocato incaricato decise comunque di egualmente dar corso alla costituzione, impegnandosi di null’altro chiedere ai firmatari, ma riservandosi la possibilità di rivalersi su eventuali risarcimenti futuri nella misura dell’onorario minimo richiesto sin dall’inizio, cioè di euro 50.000,00 lordi (pari ad euro 50,00 per mille).
Con ordinanza resa all’udienza del 9 novembre 2011, il GUP del Tribunale di [Omissis] ammise gli imputati alla richiesta oblazione speciale ex art. 162 bis c.p. per una parte dei reati contestati, stabilendo -a titolo di parziale risarcimento per i soli cittadini di [Omissis], ed al solo fine di considerare assolta la condizione di ammissibilità dell’oblazione, del venir meno delle conseguenze pericolose o dannose del reato, e fatto salvo il diritto al maggior danno, da liquidare nelle sedi competenti- la somma di euro 1.000,00 per ciascuno dei residenti nel Comune suddetto, costituitisi parte civile.
La somma così, e per tale fine, determinata, e pari complessivamente ad euro 248.000,00, venne poi versata dagli imputati in un conto dedicato intestato all’Avv. [Omissis] e da questi successivamente rimessa con bonifici eseguiti il 18 ed il 28 maggio 2012 a favore delle 248 parti civili residenti a [Omissis], ma non nella misura di euro 1.000,00, ma in quella minore di euro 849,00 per ciascuno, trattenendo quindi il Difensore la differenza. Il versamento suddetto avvenne in esito alle aspre polemiche e contrasti insorti proprio sulla destinazione da dare a tale somma, tanto da ricorrere ad un interpello delle parti costituite, curata dal Difensore incaricato, e cioè se devolverla in tutto od in parte all’Associazione [Omissis] attiva ovvero riversarla nel conto corrente, da indicarsi, di ciascun beneficiario. Successivamente, il giudizio penale venne definito anche con riguardo ai reati non oblabili, con la sentenza n. [Omissis]/2012 R.G. Sent. del Tribunale di [Omissis], che accoglieva l’istanza di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., e liquidava euro 25.000,00, oltre accessori, per spese legali alle parti assistite dall’Avv. [Omissis], somma determinata così in misura quadrupla in considerazione del numero delle parti e del riconosciuto e proficuo impegno profuso dal Difensore.
Questi i fatti oggetto del procedimento disciplinare.
Il COA di [Omissis], con la decisione impugnata, ha ritenuto di assolvere l’Avv. [Omissis] dagli illeciti contestati dell’art. 6 (oggi art. 9 in tema di doveri di probità, dignità e decoro) e dell’art. 41 (oggi art. 30 in tema di gestione di danaro altrui) del Codice Deontologico Forense, ritenendolo invece colpevole solo per la violazione dell’art. 44 (oggi art. 31 in tema di compensazione) per aver “trattenuto parte delle somme incassate dagli imputati a titolo di acconto sul risarcimento dei danni subiti dai censiti di [Omissis], costituiti parte civile nel procedimento”.
Il COA ebbe a fondare la decisione di colpevolezza su un duplice ordine di ragioni: da un lato, sulla mancata piena prova di accordi con tutte le parti che consentissero al Difensore di trattenere, a titolo di compenso, parte delle somme a loro liquidate, e, dall’altro lato, sulla circostanza, ritenuta dirimente, comprovata dalla sentenza definitiva, che l’Avv. [Omissis] ebbe pure ad incassare l’ulteriore somma liquidata per le spese legali delle parti civili.
In considerazione di ciò, e valutata complessivamente la condotta dell’incolpato, tenendosi anche conto dell’assenza di precedenti disciplinari, ritenne il COA di infliggere la sanzione dell’avvertimento.
Avverso la suddetta decisione, ricorre l’Avv. [Omissis], che sottoscrive personalmente il ricorso, affidato a tre motivi.
Con il primo di essi, eccepisce l’incompatibilità del Consigliere Relatore.
In particolare, lamenta il ricorrente il fatto che la Consigliera Avvocato [Omissis], relatrice della decisione, fosse incompatibile dato che aveva in precedenza assunto l’incarico di Difensore di fiducia di [Omissis] nel procedimento penale n. [Omissis]/08 – 21 R.G.N.R., successivamente riunito al procedimento n. [Omissis]/08 – 21 R.G.N.R., cioè quello in cui l’Avv. [Omissis] assisteva le parti civili e dal quale prese le mosse il procedimento disciplinare.
Nella sostanza, l’Avv. [Omissis] era stata Difensore di uno degli imputati contro i quali l’incolpato aveva promosso, per conto dei propri assistiti, la costituzione di parte civile. Con il secondo ed il terzo dei mezzi di ricorso, strettamente connessi, l’Avv. [Omissis] eccepisce, da un lato, l’erronea interpretazione ed applicazione dell’art. 44 CdF previgente e, dall’altro, la conseguente illogicità della decisione impugnata, chiedendo l’annullamento della sanzione inflitta.
DIRITTO
Il ricorso è fondato e, come tale, deve essere accolto.
In primo luogo, osserva il Collegio come lo stesso debba ritenersi ammissibile pur in difetto di procura speciale conferita al Difensore, essendo comunque, il ricorso stesso, sottoscritto personalmente dal ricorrente.
Quanto al merito dei mezzi di ricorso, osserva il Collegio.
Va premesso che il canone disciplinare la cui violazione è stata contestata, è contemplata dall’art. 31 del vigente Codice Deontologico, in luogo dell’art. 44 di quello previgente, con la medesima rubrica “compensazione”.
In particolare, è infondato il primo dei mezzi di ricorso, quello relativo alla incompatibilità del Consigliere dell’Ordine relatore, dato che, ritenuti applicabili al procedimento disciplinare gli articoli 51 e 52 del codice di procedura civile, la mancata formale ricusazione del Consigliere, non comporta la nullità della decisione e non può essere dedotta come motivo di impugnazione.
Si aggiunga, peraltro, come in passato si è anche ritenuto che non costituisce causa di astensione o ricusazione la mera circostanza che il Consigliere dell’Ordine abbia assistito in giudizio soggetti con posizioni processuali contrapposte a quelle di persone patrocinate dall’incolpato, non sussistendo in tale caso alcuna delle ipotesi di conflitto personale indicate dall’art. 51 c.p.c (cfr. CNF 10 aprile 2013, n. 49, Pres. Alpa, Relatore Salazar).
Con gli ulteriori motivi, tra loro connessi, il ricorrente censura nel merito la decisione del COA territoriale, eccependo la errata interpretazione ed applicazione del canone deontologico in tema di compensazione, nonché la illogicità della decisione.
Per il primo profilo, secondo il ricorrente, infatti, doveva ritenersi comprovato tanto dai documenti prodotti (locandine, scambio di corrispondenza etc), quanto dalle varie testimonianze rese, l’accordo intervenuto tra le parti assistite –o, per lo meno, la stragrande loro maggioranza- ed il Difensore in ordine alla facoltà di questi di trattenere parte delle somme ricevute a titolo di indennizzo fino alla concorrenza dell’onorario concordato ed in aggiunta a quelle inizialmente incassate.
Per il secondo dei profili, il ricorrente ha eccepito l’ingiustizia della decisione del COA fondata sulla mancata piena prova dell’accordo suddetto, nonché sulla circostanza dell’avvenuto incasso dell’incolpato anche delle somme per spese legali liquidate alle controparti con la sentenza di patteggiamento.
Tali doglianze, con le precisazioni di cui appresso, devono ritenersi fondate.
In particolare, ad avviso del Collegio, appare esaustivo il rilievo che la decisione del COA appaia in contrasto con la riconosciuta natura accusatoria del giudizio disciplinare e l’elevato grado di certezza della prova –oltre ogni ragionevole dubbio- necessario ai fini della condanna dell’incolpato, in ossequio al principio del favor rei (cfr., ex multis, CNF 10 maggio 2017 n. 55, Pres. Mascherin, Relatore Orlando, nonché CNF 20 ottobre 2016, n. 313, Pres. ff. Picchioni, Relatore Logrieco).
Ciò considerato, e pure tenendo conto dell’orientamento specifico della giurisprudenza domestica proprio in tema di compensazione, che pone l’onere della prova a carico dell’incolpato in ordine al consenso alla compensazione stessa, non può non considerarsi la particolarità della fattispecie, il clamore ed i contrasti originatisi ed, in particolare, il gran numero di assistiti – dei quali solo un esiguo numero ha lamentato il mancato consenso alla compensazione – con conseguente impossibilità concreta, per il Difensore, di fornire prova specifica del consenso di ciascuna parte.
D’altra parte, il tenore di alcune testimonianze, come si evince dal verbale del procedimento avanti il COA del 16 settembre 2014, comprova piuttosto l’esistenza dell’accordo ed il conseguente consenso, da alcuni ritenuto implicito, al trattenimento delle somme incassate in aggiunta a quelle già percepite all’atto del conferimento dell’incarico.
Il comportamento complessivo del ricorrente va valutato anche in considerazione del fatto che lo stesso ha reso sempre edotti gli assistiti delle somme incassate, trattenendo solo la differenza sino all’importo concordato.
Quanto alle somme liquidate con la sentenza di patteggiamento, va osservato come nessun riferimento vi sia nel capo di incolpazione e come la questione non sia stata oggetto del procedimento, ovvero di contestazione, e come l’incolpato non abbia comunque avuto la possibilità di dedurre sulla stessa.
Ne consegue l’erroneità, anche per tale profilo, della decisione impugnata.
P.Q.M.
visti gli artt. 50 e 54 del R.D.L. n. 1578/1933, e gli artt. 59 e segg. del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37
Il Consiglio Nazionale Forense, accoglie il ricorso.
Dispone la comunicazione della decisione al Consiglio territoriale.
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