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Le Sezioni Unite della Suprema Corte, con la recentissima decisione Cass. Civ. SS.UU., 17/09/2015, n. 18214 qui in commento, si pronunciano sulla particolare fattispecie, alquanto frequente nella prassi locatizia e oggetto di disparate posizioni giurisprudenziali, dei contratti di locazione abitativi conclusi solo verbalmente ed eseguiti, dunque, dalle parti in mancanza della formalizzazione per iscritto espressamente richiesta dall’art. 1, 4° co., L. 09/12/1998, n. 431.
In particolare, il quesito che si pone la Suprema Corte nel precedente in rassegna è il seguente:
«se, in materia di locazioni abitative, l’art. 1, comma 4, della legge n. 431 del 1998, nella parte in cui prevede che «per la stipula di validi contratti di locazione è richiesta la forma scritta», prescriva il requisito della forma scritta ad substantiam ovvero ad probationem, e, nel primo caso, se l’eventuale causa di nullità sia riconducibile alla categoria delle nullità di protezione alla luce della disposizione di cui all’art. 13, comma 5 della stessa legge».
Una precedente decisione di merito sullo stesso tema: Trib. Verona, 17/06/2015
Per affrontare in modo organico la questione è utile premettere alla lettura dell’arresto delle SS.UU.appena citato la disamina di una pregressa decisione di merito (Trib. Verona, Sez. III, 19/06/2015, n. 1706), che aveva esaminato il tema in modo alquanto ampio, in parte anticipando le conclusioni oggi affermate dalla Suprema Corte a Sezioni Unite.
Il caso trattato dalla sentenza veronese appena menzionata, infatti, è quello di un conduttore che, occupando da tempo un immobile locatogli solo verbalmente ad uso abitativo ed avendo nel tempo regolarmente corrisposto il canone in tal modo pattuito (nella misura, pacifica in giudizio, di € 300 mensili), si era infine visto convenuto da parte locatrice che reclamava la restituzione dell’immobile de quo adducendone l’occupazione sine titulo a causa della nullità del contratto di locazione verbale per violazione dell’art. 1, 4° co., L. 09/12/1998, n. 431 sopra citato, il cui contenuto è il seguente:
«a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, per la stipula di validi contratti di locazione è richiesta la forma scritta».
Il conduttore resisteva alla pretesa sostenendo in via principale che il contratto di locazione di specie sarebbe stato, in realtà, formalizzato per iscritto, e, dunque, sarebbe stato ab origine valido ed efficace (come avrebbero comprovato, a detta del conduttore stesso, le contabili bancarie di versamento del canone pattuito, prodotte in atti).
Proponeva, altresì, in via riconvenzionale subordinata, domanda di accertamento della locazione ex art. 13, 5° co. L. 09/12/1998, n. 431, oltre che di restituzione della differenza tra il canone mensilmente versato e quello quantificato ex lege ai sensi degli artt. 2, 3° co.,e 5, 2° e 3° co., L. 431/1998.
L’art. 13, 5° co., L. 431/1998 cit., infatti, per quanto qui rileva, riconosce alla parte conduttrice una specifica azione di accertamento del contratto di locazione in tutti i casi in cui
«il locatore ha preteso l’instaurazione di un rapporto di locazione di fatto, in violazione di quanto previsto dall’articolo 1, comma 4»,
aggiungendo che
«nel giudizio che accerta l’esistenza del contratto di locazione il [pretore] determina il canone dovuto, che non può eccedere quello definito ai sensi del comma 3 dell’articolo 2 ovvero quello definito ai sensi dell’articolo 5, commi 2 e 3, nel caso di conduttore che abiti stabilmente l’alloggio per i motivi ivi regolati; nei casi di cui al presente periodo il [pretore] stabilisce la restituzione delle somme eventualmente eccedenti».
In questo contesto, il Tribunale di Verona ha assunto interessanti posizioni sui diversi aspetti giuridici implicati dalla vicenda sopra descritta, e, in particolare, sulla nullità prevista dall’art. 1, 4° co., L. 431/1998, aspetto che costituisce lo spunto più interessante dell’intera pronuncia, anticipando quanto, di lì a qualche tempo, sarebbe stato affermato anche dalle Sezioni Unite.
Ma procediamo con ordine.
La forma scritta del contratto di locazione: requisiti
Il primo argomento su cui si intrattiene il provvedimento ora in esame è quello dei requisiti minimi richiesti perché un contratto di locazione (o meglio, un contratto in genere, posto che il ragionamento svolto dal Tribunale, come si sta per vedere, è indubbiamente dotato di portata generale) possa dirsi concluso per iscritto.
Sul punto la sentenza premette che, se la forma scritta «non implica che un unico documento raccolga proposta e accettazione o che sia vietato fare rinvio ad altro documento», ciò tuttavia non toglie che deve considerarsi
«assolutamente vietato confondere gli atti di esecuzione con il consenso contrattuale; in altri termini, il requisito della “forma scritta” implica, nel minimo, che sia rinvenibile una scrittura (ossia una reciproca dichiarazione sottoscritta dei contraenti) la quale contenga almeno gli elementi indefettibili di un contratto di locazione (parti, oggetto, corrispettivo per il suo godimento)».
Ne consegue, per ciò che attiene al caso di specie, che il requisito della forma scritta del contratto di locazione non può certo essere ricavato (così come domandato dal conduttore in via principale) tramite la produzione «dei documenti bancari che comprovano il regolare pagamento del canone negli anni».
La legittimazione a rilevare la nullità ex art. 1, 4° co., L. 431/1998
Assodato ciò, il giudice veronese passa ad esaminare la richiesta di declaratoria della nullità del contratto di locazione meramente verbale, proposta in via principale da parte locatrice ex art. 1, 4° co., L. 431/1998 sopra citato, al fine di ottenere la restituzione dell’immobile.
In merito, la pronuncia – esaminata la ratio complessiva della normativa in materia locatizia – conclude nel senso che la nullità contrattuale prevista dall’art. 1, 4° co., L. 431/1998 è una «nullità speciale di protezione» dettata nell’interesse del conduttore, parte debole del contratto stesso: ne deriva, dunque, che l’ambito operativo della norma appena citata non può essere «dilatato fino a ritorcersi contro gli stessi interessi per i quali esso appare essenzialmente imposto».
Con la rilevante, ulteriore e logica, conseguenza che, secondo il Tribunale, il locatore «non è legittimato a fare valere la nullità per difetto di forma scritta del contratto» di locazione verbale, eccezione proponibile unicamente dal conduttore.
La domanda di accertamento del contratto di locazione
Stabilito, dunque, quanto sopra, la decisione in rassegna si sofferma poi a valutare la domanda riconvenzionale di accertamento del contratto di locazione, subordinatamente proposta da parte conduttrice, ex art. 13, 5° co., L. 431/1998, con richiesta di pagamento dell’eccedenza di quanto versato a titolo di canone nel corso del rapporto contrattuale di fatto, rispetto alla misura legalmente prevista.
Sotto tale profilo, il primo aspetto affrontato dal Tribunale concerne l’interpretazione dei presupposto dell’azione in questione, presupposto che l’art. 13, 5° co., L. 431/1998 cit,. fa coincidere con l’avere il locatore «preteso l’instaurazione di un rapporto di locazione di fatto».
Il significato dell’espressione, non particolarmente felice, appena citata, viene chiarito dal giudicato in commento sotto un duplice profilo:
- da un lato, infatti, viene specificato che, per integrare la “pretesa ” di parte locatrice non è in alcun modo richiesta «una violenza morale in senso proprio»;
- dall’altro, si aggiunge che proprio il fatto che la forma verbale debba essere in qualche modo pretesa” dal locatore, implica che «se il difetto di forma scritta dovesse dipendere in via esclusiva dalla volontà del conduttore, sarebbe a lui ovviamente preclusa anche la possibilità di recuperare il contratto con l’azione prevista dall’art. 13 comma 5».
La domanda di restituzione dei canoni: oneri istruttori
L’ultimo aspetto affrontato dalla decisione del Tribunale di Verona in esame concerne la prospettiva propriamente economica coinvolta nella fattispecie locatizia da essa esaminata.
Come si è sopra osservato, infatti, il più volte citato art. 13, 5° co., L. 431/1998 stabilisce che il giudice della locazione, accertato il contratto originariamente concluso in via di mero fatto, determini altresì
«il canone dovuto, che non può eccedere quello definito ai sensi del comma 3 dell’articolo 2 ovvero quello definito ai sensi dell’articolo 5, commi 2 e 3, nel caso di conduttore che abiti stabilmente l’alloggio per i motivi ivi regolati»,
disponendo inoltre «la restituzione delle somme eventualmente eccedenti» che siano state versate dal conduttore in esecuzione degli accordi verbalmente intercorsi.
Nel caso di specie la domanda, effettivamente proposta da parte conduttrice in giudizio, viene tuttavia respinta sotto il profilo del mancato assolvimento dell’onere della prova.
Ad avviso del Tribunale veronese, infatti,
«il conduttore aveva l’onere di spiegare e dare almeno un principio di prova in ordine alla circostanza che il canone come pattuito [fosse] superiore a quello “definito ai sensi del comma 3 dell’art. 2”, ma nulla è stato addotto sul punto, né sono stati richiesti mezzi istruttori.
Ne consegue, perciò, che il canone verbalmente concordato (in misura – lo si rammenta – pacifica in giudizio)
«deve ritenersi rientrare nei limiti di quello massimo previsto dalla legge, con rigetto della domanda di rimborso delle somme che apoditticamente si assumono versate in eccedenza».
L’intervento delle Sezioni Unite
A pochi mesi dalla decisione di merito appena commentata, sul medesimo tema intervengono ora le Sezioni Unite della Suprema Corte, con la recentissima sentenza in rassegna (Cass. Civ. SS.UU., 17/09/2015, n. 18214), ponendosi in linea di continuità con quanto delibato dalla prima, ma precisandone, nel contempo, alcuni temi.
La natura della nullità ex art. 1, 4° co., L. 431/1998
Dopo avere ampiamente ripercorso la storia e ricostruito la ratio della normativa locatizia, la Corte affronta anzitutto ex professo il tema della natura della nullità formale comminata dall’art. 1, 4° co., L. 431/1998, norma che, pur prevedendo, come si è già visto, che «a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, per la stipula di validi contratti di locazione è richiesta la forma scritta», non specifica se tale forma sia richiesta ad substantiam o ad probationem.
Si tratta di un tema rimasto in qualche modo sullo sfondo della decisione veronese precedentemente commentata, in ordine al quale la Suprema Corte si esprime invece in modo diretto, esaminando due contrapposti orientamenti di merito:
- uno, minoritario «secondo cui la mancanza di una espressa previsione della sanzione della nullità dovrebbe indurre a ritenere che la forma scritta richiesta per il contratto di locazione di immobile ad uso abitativo sia soltanto ad probationem, e non un requisito essenziale del contratto»;
- e l’altro, nettamente prevalente e condivisibile, secondo cui la forma scritta del contratto è invece richiesta ad substantiam, in virtù della combinata lettura dell’art. 1, 4° co., L. 431/1998, ora con l’art. 1418 C.C. («che sanziona con la nullità la mancanza di uno dei requisiti di cui all’art. 1325 cod. civ. ivi compresa la forma del contratto se prevista a pena di nullità»), ora con l’art. 1350 n. 13, C.C. («che contempla, tra gli atti che devono farsi per iscritto a pena di nullità, anche quelli “specificamente indicati dalla legge”»), ora con gli artt. 1352 e 2739 C.C. «quanto al significato da attribuire al requisito di forma in difetto di univoche prescrizioni».
Caratteristiche e legittimazione
Assodato, così, che la sanzione che colpisce il contratto di locazione di fatto non attiene al piano della prova del rapporto contrattuale, ma incide sulla stessa validità del negozio, la Corte passa ad esaminare le caratteristiche di tale nullità e i soggetti legittimati ad avvalersene, abbracciando sul punto il filone interpretativo (già espresso, anche se in una prospettiva parzialmente diversa, dalla sentenza Trib. Verona, Sez. III, 19/06/2015, n. 1706 sopra esaminata) che ne limita la rilevabilità
«in favore del solo conduttore nella specifica ipotesi di cui all’art. 13, comma 5 della I. n. 431 del 1998, che gli accorda una speciale tutela nel caso in cui gli sia stato imposto, da parte del locatore, un rapporto di locazione di fatto, stipulato soltanto verbalmente».
Siamo in presenza, dunque, anche secondo la Suprema Corte, di una nullità di protezione, rilevabile dal solo conduttore e
«predicabile solo in presenza dell’abuso, da parte del locatore, della sua posizione “dominante”, imponendosi in tal caso, e solo in esso, a causa della eccessiva asimmetria negoziale, un intervento correttivo ex lege a tutela del contraente debole».
In particolare, per integrare l’ipotesi di nullità qui in esame, secondo le SS.UU. dovrà vertersi in ipotesi di «inaccettabile pressione (una sorta di violenza morale)» esercitata dal locatore sul conduttore per «costringerlo a stipulare il contratto in forma verbale» (elementi che, sempre secondo la decisione in esame, dovrà allegare e provare il conduttore).
Si tratta di un’interpretazione che, se non smentisce la decisione veronese sopra esaminata, sembra però attenuarne la portata, tendendo ad identificare il comportamento pretensivo del locatore richiesto dalla norma di cui all’art. 13, 5° co., L. 431/1998 con atteggiamenti che costituiscono, se non una vera e propria violenza morale, almeno «una sorta di violenza morale» (a fronte della ridetta decisione della sentenza del Tribunale di Verona, che, invece, come si ricorderà aveva distinto in modo netto “violenza morale”, da un lato, e comportamento del locatore costituente “pretesa subita dal conduttore”, dall’altro).
La domanda di accertamento del contratto di locazione
In merito alla domanda di accertamento del contratto di locazione prevista dall’art. 13, 5° co., L. 431/1998 cit., le SS.UU. rilevano ulteriormente che
«in deroga ai principi generali della insanabilità del contratto nullo (…), la norma di cui all’art. 13, comma 5, riconosce al conduttore la possibilità di esperire una specifica azione finalizzata alla sanatoria del rapporto contrattuale di fatto venutosi a costituire in violazione di una norma imperativa».
Il che accade, però, sempre e solo in presenza del comportamento illegittimamente pretensivo di parte locatrice già esaminato, la cui sussistenza innesca il meccanismo previsto dalla legge (nullità di protezione, azione di accertamento del contratto di locazione e restituzione al conduttore dei canoni versati nella misura eccedente quella legale) in funzione di riequilibrio delle rispettive posizioni negoziali delle parti.
La ricostruzione così operata dalla Corte porta con sé l’ulteriore conseguenza che, mancando il predetto comportamento pretensivo di parte locatrice (e, dunque, in tutte le ipotesi in cui la locazione di fatto sia concordata tra le parti, oppure voluta dallo stesso conduttore, oppure – diremmo – anche nei casi in cui il comportamento di parte locatrice non sia stato allegato e provato in giudizio dal conduttore stesso),
«torneranno ad applicarsi i principi generali in tema di nullità. Il locatore potrà agire in giudizio per il rilascio dell’immobile occupato senza alcun titolo, e il conduttore potrà ottenere la (parziale) restituzione delle somme versate a titolo di canone nella misura eccedente quella del canone «concordato» – poiché la restituzione dell’intero canone percepito dal locatore costituirebbe un ingiustificato arricchimento dell’occupante».
E, infatti, continua la Corte, in tesi generale,
«sancire che, per la stipula di validi contratti di locazione, è necessaria la forma scritta, significa a contrario affermare che il contratto di locazione privo di tale requisito è invalido (i.e., nullo)».
Si tratta di una conclusione che sembra discostarsi, almeno in parte, da quanto opinato dal Tribunale di Verona nella propria decisione esaminata in precedenza. La motivazione del giudice veronese, infatti, sembra lasciare spazio ad ipotesi in cui il contratto orale mantiene comunque un ambito di validità, (se non altro allorquando il conduttore non rilevi in giudizio l’unilaterale comportamento pretensivo del locatore non avendo interesse a sollevare tale eccezione), mentre secondo la Suprema Corte, mancando la “quasi violenza morale” del locatore, il contratto orale è sempre nullo, applicandosi i criteri ordinari.
Conclusioni
In un quadro così frammentato trarre conclusioni richiede un certo grado di prudenza
Sintetizzando, tuttavia, ciò che emerge dalle due sentenze sopra esaminate, anche tenendo presente l’ovvia differenza tra esse in termini di forza persuasiva, sembra potersi dire che:
- il contratto di locazione ad uso abitativo (fatte salve alcune specifiche eccezioni di legge) è un contratto che deve essere fatto per iscritto a pena di nullità ex art. 1, 4° co., L. 09/12/1998, n. 431;
- detto contratto è fatto per iscritto se e solo se sia consacrato in un documento sottoscritto dalle parti, che rappresenti e descriva la volontà delle medesime in termini idonei ad integrare il contenuto minimo negoziale;
- in presenza di un comportamento del locatore inteso a “imporre” a parte conduttrice un contratto non scritto, la nullità di cui all’art. 1, 4° co., L. 09/12/1998, n. 431 assume la caratteristica di “nullità di protezione” in favore del conduttore e, in quanto tale, non può essere rilevata dal locatore stesso;
- nell’ipotesi appena formulata (e solo in essa), al conduttore, ex art. 13, 5° co., L. 431/1998, è data altresì azione di accertamento del contratto di locazione,con rideterminazione del canone nei limiti legali e diritto al rimborso dell’eventuale eccedenza versata in corso di rapporto;
- viceversa, in tutti i casi in cui la costituzione di un rapporto locatizio in via di mero fatto sia concordata tra le parti, e/o sia richiesta dallo stesso conduttore (e/o non emerga comprovato in giudizio il comportamento unilateralmente pretensivo del locatore sopra ricordato), la nullità segue il regime ordinario e il locatore potrà giovarsene, attivandosi per riottenere il rilascio dell’immobile occupato senza titolo, non trovando per converso spazio l’azione di accertamento del contratto appena citata;
- sotto un profilo istruttorio, il conduttore che faccia valere la nullità speciale di protezione in esame dovrà provare il comportamento unilateralmente pretensivo del locatore (che dovrà assumere tratti analoghi a quelli di una vera e propria violenza morale);
- inoltre, se il detto conduttore intenda anche ottenere il rimborso di quanto versato, nel corso del rapporto locatizio di fatto, in eccedenza rispetto al canone legale accertato dal giudice, ex art. 13, 5° co., L. 431/1998, sarà suo onere anche quello di allegare e dare almeno un principio di prova circa il fatto che il canone concordato verbalmente sia effettivamente superiore a quello determinato dalla legge per la tipologia contrattuale di specie.
Documenti & materiali
Scarica Trib. Verona, Sez. III, 19/06/2015, n. 1706
Scarica Cass. Civ., SS.UU., 17/09/2014, n. 18214
Ci vuole poco a capire perchè si affittano sempre meno case. Troppe tasse poche tutele.
Hai ragione. È il mercato immobiliare e locatizio è sempre più bloccato. Aveva ragione il legislatore del 42 quando aveva previsto la forma del contratto di locazione e la procedura spedita di rilascio.