L’influenza del nuovo codice della crisi di impresa sulla valutazione della meritevolezza nel sovraindebitamento Trib. Ancona, Sez. II, 09/09/2019

By | 19/12/2019

TRIB. ANCONA, SEZ. II, 09/09/2019

«In sede di applicazione della normativa di cui agli artt. 12 bis ss. L. 3/2012 e, in particolare, in sede di valutazione della meritevolezza del consumatore sovraindebitato, la giurisprudenza ha avuto un atteggiamento di favore verso il debitore, propendendo ad ampliare le maglie di accesso al piano del consumatore al fine di dare attuazione alla ratio sottesa alla legge sul sovraindebitamento, individuata nel fine di evitare l’esposizione a fenomeni di usura ed estorsione e di garantire il recupero di una serenità economica e di una vita dignitosa, facendo fronte ai debiti secondo le proprie possibilità, senza doversi muovere a tempo indefinito in ambito sommerso.

Tale impostazione risulta vieppiù avvalorata dal nuovo Codice della crisi d ‘impresa che, all’art. 69, 1° co., esclude il consumatore dall’accesso alla procedura di ristrutturazione dei debiti se ha determinato la situazione di sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode e, pertanto, come evidenziato in dottrina, secondo un climax ascendente che vede quale punto di partenza la colpa grave, con la conseguenza che non è sufficiente ad escludere l’accesso al piano l’aver cagionato la situazione di sovraindebitamento con colpa lieve.

In considerazione, dunque, dell’indirizzo favorevole ad un’interpretazione storico-evolutiva delle norme, privilegiando l’intenzione del legislatore per come esplicitata nell’enunciazione della nuova disciplina, anche allo stato attuale della normativa deve ritenersi meritevole il debitore sovraindebitato ove non si ravvisi alcun profilo di colpa grave ostativo all’omologazione del piano proposto» (Massima non ufficiale)

Il G.D.,

premesso che con ricorso depositato, ai sensi dell’art. 7, comma Ibis, I. 27.01.2012, n. 3, in data 15.04.2019 e successivamente integrato in data 05.07.2019, [Omissis], chiedeva l’omologa di un piano del consumatore articolato nei termini seguenti:

pagamento integrale del compenso all’O.C.C., prededucibile, determinato in € 293,03, comprensivo di Iva e accessori, ricavabile dallo stipendio nelle more pignorato dalla creditrice [Omissis], tuttavia in forza di provvedimento non ancora definitivo in quanto oggetto di opposizione (cfr. verbale di assegnazione del 26.03.2019 e decreto di fissazione udienza del 24.04.2019 nell’ambito del procedimento n. [Omissis] R. Es. Mob.); pagamento del debito verso l’Agenzia delle Entrate per omesso versamento dell’imposta di registro del contratto di locazione, per l’anno 2014, pari ad 259,14;

pagamento del debito nei confronti della sig.ra [Omissis], pari a complessivi € 17.436,52 (al lordo delle somme nelle more percepite), nell’importo di € 3.999,16, di cui € 2.600,00, pari al ricavato della liquidazione della quota del fondo comune d’investimento [Omissis], somma parimenti pignorata ma non ancora assegnata (cfr. verbale del 15.03.2019 nell’ambito del procedimento n. [Omissis] R. Es.), ed € 1.399,16, pari agli accantonamenti operati dal datore di lavoro della ricorrente nell’ambito del pignoramento presso terzi (detratto il compenso per l’O.C.C,). Il pagamento interverrebbe immediatamente dopo l’omologa, salvi i tempi tecnici di svincolo delle somme, previa decurtazione di quanto nelle more percepito dalla creditrice per effetto dell’assegnazione del quinto dello stipendio;

richiamato il proprio decreto di fissazione dell’udienza di omologa emesso in data 06.05.2019;

rilevato che all’udienza del 25.06.2019, poi rinviata al 16.07.2019, la creditrice [Omissis] si costituiva contestando la meritevolezza della debitrice e la convenienza della proposta rispetto all’alternativa liquidatoria;

considerato, quanto al primo profilo, che la resistente evidenzia l’assoluto disinteresse della [Omissis] per il debito maturato nei propri confronti in forza del contratto di locazione stipulato in data 24.11.2011, tacitamente prorogato in data 24.11.2015, atteso che la conduttrice, non solo avrebbe omesso di pagare i canoni a far data dal mese di maggio 2017 ma, a fronte della notifica dell’intimazione di sfratto e, successivamente, del decreto di convalida, del decreto ingiuntivo, del precetto e dell’avviso di rilascio, non avrebbe assunto alcuna iniziativa volta a consentire alla [Omissis] di rientrare nel possesso dell’immobile e di ottenere soddisfazione del proprio credito, tentando, anzi di sottrarsi alle notificazioni predette e così determinando il proliferare del credito, anche in relazione alle spese legali;

rilevato, tuttavia, che la [Omissis], pur avendo sottoscritto il contratto di locazione nel 2011 assieme al fratello [Omissis], abbandonava l’immobile già nel 2012, spostando la propria residenza da [Omissis] ad [Omissis] in conseguenza del trasferimento della sede lavorativa. Da tale data l’abitazione veniva, pertanto, occupata in via esclusiva dall’ [Omissis] che provvedeva autonomamente al pagamento dei canoni. Pertanto, fino alla notifica dell’intimazione di sfratto, intervenuta il 26.04.2018, la [Omissis] era all’oscuro della morosità maturata. Non essendo più nella disponibilità dell’immobile, inoltre, ella non avrebbe potuto in nessun caso provvedere alla restituzione in modo da evitare i costi connessi al procedimento di sfratto. Vero è, trattandosi di circostanza attestata dall’ufficiale giudiziario, che la [Omissis] ha irresponsabilmente tentato di sottrarsi alla notifica dell’intimazione di sfratto e che, altrettanto negligentemente, solo a fronte del pignoramento del quinto dello stipendio ha inteso rivolgersi ad un legale per tentare di definire la propria posizione. Prima ancora, la ricorrente avrebbe dovuto comunicare disdetta, da parte sua, dal contratto di locazione al momento dell’abbandono dell’immobile, in modo da sciogliersi dagli obblighi scaturenti dal contratto quantomeno a far data dal semestre successivo alla comunicazione, ai sensi dell’art. 4, comma 2, 1. 27.07.1978, n. 392 (Cass. sez. Ili, 05.04.2016, n. 6553). Nondimeno, se a fronte di tali condotte si considera che il debito maturato era funzionale al soddisfacimento di esigenze abitative altrui, che il contratto di locazione nel frattempo stipulato dalla ricorrente per soddisfare i bisogni propri e della propria famiglia risulta puntualmente onorato, che la [Omissis], pur dovendo provvedere autonomamente al mantenimento di due figlie minori, non ha contratto ulteriori debiti, che, infine, solo grazie al lavoro straordinario reso in maniera copiosa ha finora potuto garantire alle sue due bambine un’esistenza dignitosa, non si ravvisa il profilo di immeritevolezza nell’accesso alla presente procedura, lamentato dalla [Omissis];

considerato infatti, anzitutto, che la circostanza che fino al maggio 2017 l'[Omissis] lavorasse e avesse corrisposto con regolarità i canoni di locazione conferma che la [Omissis], al momento della stipula del nuovo contratto per l’immobile in [Omissis], non potesse ragionevolmente prevedere di non poter adempiere alle proprie obbligazioni;

che la ricorrente non ha fatto alcun ricorso al credito;

che, non avendo più la disponibilità dell’immobile della [Omissis], ella non avrebbe in alcun modo potuto evitare il giudizio di sfratto (e le connesse spese legali) e, alla luce delle limitate risorse a disposizione, neppure avrebbe potuto offrire una qualche forma di soddisfacimento (migliorativa rispetto a quella odierna, evidentemente non soddisfacente per la creditrice) finalizzata ad evitare il pignoramento del proprio stipendio. Quanto alla circostanza che solo a seguito dell’instaurazione di tale ultima procedura la [Omissis] abbia inteso rivolgersi ad un legale, tale ritardo non può ritenersi rilevante ai sensi dell’art. 12bis, comma 3, 1. 3/2012 dal momento che fino alla concreta sottrazione di risorse al sostentamento della propria famiglia, risponde ad una scelta di prudenza e parsimonia quella di non aver voluto contrarre ulteriori spese per compensi professionali del legale, che avrebbero ulteriormente ridotto la propria capacità reddituale anche a detrimento della resistente, confidando nell’adempimento da parte dell'[Omissis];

ritenuto, più in generale, che nell’esaminare la condotta del consumatore occorre tener conto delle cause dell’indebitamento, della diligenza impiegata nell’assumere volontariamente le obbligazioni, delle ragioni della incapacità di adempiere le obbligazioni assunte, ma anche del resoconto sulla solvibilità del consumatore negli ultimi cinque anni e dell’eventuale esistenza di atti del debitore impugnati dai creditori. Nella fattispecie, come anticipato, la [Omissis] non ha contratto nessun altro debito, né ha posto in essere atti impugnati dai creditori; rilevato che la creditrice rimprovera alla [Omissis] anche di non essersi attivata nei confronti del padre delle sue figlie per ottenere l’adempimento da parte di quest’ultimo agli obblighi di mantenimento della prole;

considerato, tuttavia, che quandanche l’ex partner della ricorrente fosse persona solvibile, al fine di ottenere l’adempimento del detto obbligo la ricorrente avrebbe dovuto intraprendere iniziative giudiziarie, peraltro all’estero, con i connessi costi, evidentemente allo stato non sostenibili. Nessun profilo di colpa, di conseguenza, appare ravvisabile in capo alla [Omissis] per non aver agito giudizialmente nei confronti del padre delle sue due figlie;

considerato, in aggiunta, che, in sede di applicazione della normativa di cui agli artt. 12bis ss. 1. 3/2012, la giurisprudenza ha avuto un atteggiamento di favore verso il consumatore. Se non vi è dubbio, infatti, che la situazione di sovraindebitamento determinata da fattori esterni non imputabili al debitore, quali la perdita del posto di lavoro o la malattia di un familiare (cfr. Trib. Napoli 11.01.2018; Trib. Cagliari 11.05.2016; Trib. Pistoia 28.02.2014), non potrebbero incidere sulla valutazione meritevolezza, escludendo la colpa del consumatore, è parimenti vero che sono stati omologati piani in cui profili di responsabilità in capo al debitore erano invece ravvisabili, per aveva egli investito tutto il compendio ereditario in azioni ad alto rischio (Trib. Pistoia 11.07.2014), oppure per essere affetto da ludopatia (Trib. Torino 29.12.2018; Trib. Torino 08.06.2016; Trib. Catania 17.02.2015), per aver costituito trust e fondi patrimoniali per sottrarre i beni ai creditori (Trib. Prato 28.09.2016) o per essersi affidato all’intervento finanziario costante dei propri genitori (Trib. Benevento 19.11.2016). Come evidenziato dalla difesa della ricorrente, anche in base ad un raffronto con la disciplina contenuta nella legge fallimentare, slegata dai profili di meritevolezza soggettiva, è invalsa una lettura dell’art. 12bis 1. 3/2012 propensa ad ampliare le maglie di accesso al piano del consumatore, al fine di dare attuazione alla ratio sottesa alla legge sul sovraindebitamento, individuata nel fine di evitare l’esposizione a fenomeni di usura ed estorsione e di garantire il recupero di una serenità economica e di una vita dignitosa, facendo fronte ai debiti secondo le proprie possibilità, senza doversi muovere a tempo indefinito in ambito “sommerso”;

ritenuto che tale impostazione risulta vieppiù avvalorata dal nuovo Codice della crisi d ‘impresa che, all’art. 69, comma 1, esclude il consumatore dall’accesso alla procedura di ristrutturazione dei debiti se ha determinato la situazione di sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode e, pertanto, come evidenziato in dottrina, secondo un climax ascendente che vede quale punto di partenza la colpa grave, con la conseguenza che non è sufficiente ad escludere l’accesso al piano di ristrutturazione l’aver cagionato la situazione di sovraindebitamento con colpa lieve;

considerato che questo tribunale ha già avuto modo di esprimersi, in conformità alle indicazioni della Cassazione, a favore di un ‘interpretazione storico-evolutiva delle norme, privilegiando l’intenzione del legislatore per come esplicitata nell’enunciazione della nuova disciplina, atteso che “l’attività ermeneutica non può dispiegarsi ora per allora, ma all’attualità” (Cass. sez. I, 29.03.2019, n, 8980. Conf. Cass. sez. I, 10.05.2019, n. 12552. Per un’ulteriore anticipazione delle norme del CCI nell’interpretazione della disciplina vigente, cfr. altresì Cass. sez. I, 30.01.2019, n. 2657), ne consegue che anche nel regolamentare la fattispecie qui in esame, deve preferirsi la lettura delle norme vigenti maggiormente coerente con l’evoluzione normativa (Trib. Ancona 13.08.2019 nell’ambito della proc. concordataria 10/2019 R.C.P.); ritenuto, in conclusione, che non si ravvisa alcun profilo di colpa grave ostativo all’omologazione del piano proposto;

considerato, quanto alla convenienza rispetto all’alternativa liquidatoria, che la [Omissis] si duole della mancata inclusione nel piano del quinto dello stipendio, già oggetto di pignoramento;

rilevato che, ai sensi dell’art. 14ter, comma 6, lett. b), 1. 3/2012, non sono compresi nella liquidazione “-gli stipendi, pensioni, salari e ciò che il debitore guadagna con la sua attività, nei limiti di quanto occorra al mantenimento suo e della sua famiglia indicati dal giudice”; considerato che la giurisprudenza di merito (Trib. Pistoia 27.12.2013) e anche questo ufficio (Trib. Ancona 15.03.2018) hanno già avuto modo di affermare che il parametro di valutazione degli importi necessari al mantenimento non può essere rappresentato dalla quota di 1/5 dell’emolumento, sia perché l’art. 14ter non richiama l’art. 545 c.p.c., sia perché se così fosse l’esclusione dello stipendio dai diritti liquidabili, nei limiti di 4/5 dell’importo, si sarebbe dovuta già ricavare dalla lett. a) dell’art. 14 ter, comma 6, che si riferisce ai crediti impignorabili, con conseguente inutilità della previsione di cui alla lettera successiva, sia, infine, in considerazione del fatto che la disposizione rimette espressamente al giudice la determinazione di tale importo; ritenuto, in ossequio al criterio interpretativo storico-evolutivo sopra richiamato, che nel determinare il fabbisogno della famiglia della ricorrente debba farsi riferimento “all’ammontare dell’assegno sociale moltiplicato per un parametro corrispondente al numero dei componenti il nucleo familiare della scala di equivalenza dell’ISEE di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 dicembre 2013, n. 159 “, esplicitato dall’art 68, comma 3, CCI;

considerato che l’importo di detto assegno per il 2019 è stato fissato in € 458,00 che, moltiplicato per il coefficiente di 2,04, di cui alla scala di equivalenza dell’allegato I al d.p.c.m. 159/2013, ascende ad € 934,32;

che esso è sostanzialmente corrispondente all’importo medio dello stipendio percepito dalla [Omissis] al lordo degli assegni familiari e al netto degli emolumenti per straordinari, evidentemente non computabili in quanto non predeterminabili né nell’an, né nel quantum (dipendendo anche dalle esigenze del datore di lavoro), accertato dall’O.C.C. in € 936,20 per il 2017 ed €995,97 per il 2018;

ritenuto, pertanto, che la procedura liquidatoria non consentirebbe alla [Omissis] di ottenere più di quanto offertole dalla [Omissis] nell’odierna sede;

che, quindi, ricorre la convenienza del piano del consumatore formulato rispetto all’alternativa liquidatoria;

considerato che, ai sensi dell’art. 13, comma 1, 1. 3/2012 occorre procedere alla nomina di un liquidatore, atteso che le somme destinate al soddisfacimento dei creditori risultano oggetto di pignoramento;

che evidenti ragioni di convenienza, anche alla luce della semplicità della procedura a fronte di due soli creditori, giustifica la nomina quale liquidatore dello stesso gestore della crisi, ai sensi dell’art. 15, comma 8,1. 3/2012;

visto l’art. 12bis 1. 3/2012;

OMOLOGA

il piano del consumatore proposto da [Omissis] in data 15.04.2019;

NOMINA

liquidatore [Omissis],

DISPONE

la pubblicazione della proposta e del presente decreto presso l’Albo ed il sito Internet del Tribunale, a cura della Cancelleria.

Si comunichi alla ricorrente, alla resistente e all’O.CC. – Liquidatore, [Omissis].

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