La custodia del proprietario della strada si estende anche alla banchina ed agli elementi accessori Cass. Civ., Sez. III, 09/07/2021, n. 19610

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CASS. CIV., SEZ. III, 09/07/2021, N. 19610

«La custodia esercitata dal proprietario o gestore della strada non è limitata alla sola carreggiata, ma si estende ai margini della carreggiata (“banchina”) e altresì, ancora più ampiamente, ai margini gli elementi accessori e pertinenze, anche inerti, atteso che anche le cose normalmente innocue sono suscettibili di assumere ed esprimere potenzialità dannose in ragione di particolari circostanze e in particolare in conseguenza di un processo dannoso provocato da elementi esterni, risultando ormai superata la distinzione tra cose inerti e cose intrinsecamente dannose in quanto idonee a produrre lesione a persone e cose in virtù di connaturale forza dinamica o per l’effetto di concause umane o naturali» (Massima non ufficiale)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del [Omissis] la Corte d’Appello di [Omissis] ha respinto i gravami interposti dai sigg. [Omissis], [Omissis] e [Omissis] e [Omissis] (quali eredi del sig. [Omissis]) – in via principale – nonché dal Consorzio [Omissis] – in via incidentale – in relazione alla pronunzia Trib. [Omissis], di rigetto della domanda dai primi nei confronti di quest’ultimo proposta di risarcimento dei danni rispettivamente subiti in conseguenza del sinistro stradale avvenuto il [Omissis] sull’autostrada [Omissis], allorquando, asseritamente “a causa dei manto stradale notevolmente usurato e viscido per la pioggia”, l’ [Omissis] finiva fuori strada, urtando “contro la roccia lavica che si trovava immediatamente a margine della carreggiata, priva di idonea barriera di protezione”.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito i [Omissis] e la [Omissis] propongono ora ricorso per cassazione, affidato a 6 motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso il Consorzio [Omissis].

Con conclusioni scritte del 22/9/2020 il P.G. presso questa Corte ha chiesto il rigetto del ricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 e il 2 motivo i ricorrenti denunziano violazione degli artt. 115,116 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si dolgono che la corte di merito abbia pronunziato movendo da una erronea ricostruzione della dinamica del sinistro, operata all’esito di un’erronea valutazione delle emergenze processuali, atteso che il sinistro è avvenuto in un tratto rettilineo dell’autostrada, a nulla rilevando “la presenza di una curva sinistrorsa ad ampio raggio posta.. a notevole distanza dal luogo del sinistro”.

Lamentano non essersi considerato che allorquando fu ricoverato in Ospedale, il [Omissis] – trasportato a bordo dell’autovettura condotta dal [Omissis] – risultava affetto da una “modesta amnesia retrograda”, che al momento dell’escussione testimoniale in giudizio -stante il tempo trascorso-aveva tuttavia superato, non potendo pertanto riscontrarsi alcuna contraddizione tra quanto dal medesimo inizialmente dichiarato (di non ricordare nulla) e l’affermazione secondo cui al momento del sinistro il veicolo stesse procedendo ad “una “velocità moderata””, che costituisce anzi “la sola prova sulla velocità del veicolo”, non rinvenendosi “in atti prove in senso opposto, tanto che la Corte non ne ha potuto fare menzione”, avendo “entrambi i testi escussi, sig. [Omissis] e sig. [Omissis] puntualizzato che la perdita di controllo del mezzo è avventa improvvisamente escludendo, così, che la fuoriuscita di strada del veicolo possa essere stata determinata da una manovra azzardata e/o da un comportamento comunque imprudente del sig. [Omissis] “.

Si dolgono dell’erronea valutazione delle condizioni di usura dell’asfalto operata dai giudici di merito, avendo i medesimi “utilizzato soltanto alcuni passaggi della perizia, ma non altri che invece erano di particolare rilievo ai fini della determinazione della responsabilità del Consorzio”, nella CTU risultando invero posto in rilievo come siffatte condizioni diminuissero “il coefficiente di aderenza soprattutto se in condizioni di bagnato”, quali appunto si avevano il giorno del sinistro.

Con il 3 motivo denunziano “omesso esame ” di fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5

Si dolgono essersi erroneamente valutato lo stato di usura del manto stradale emergente dalla CTU e da fotografie allegate, evidenzianti le “marcate fessurazioni orizzontali e verticali della sede stradale” e da cui emergeva “lo strato di collegamento”.

Con il 4 motivo i ricorrenti denunziano “violazione e falsa applicazione” dell’art. 144 vecchio Cod. strada, D.M. (Lavori pubblici) n. 223 del 1992, art. 1, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si dolgono che la corte di merito abbia argomentato dall’erronea premessa che il tratto di autostrada in argomento fosse “entrato in esercizio nel 1971, epoca in cui vi era ancora un vuoto normativo per ciò che atteneva le barriere di sicurezza”, pervenendo quindi ad affermare che il Consorzio non potesse considerarsi responsabile alla stregua di una normativa emanata successivamente e relativa solo alla “progettazione di nuove opere” e all'”adeguamento di tratti significativi di tronchi statali esistenti”.

Lamentano essere “ridicola” l’affermazione contenuta nell’impugnata sentenza secondo cui il Consorzio “non fosse comunque tenuto alla collocazione di alcun tipo di cunetta e non alle scarpate), sia perché i grossi massi di pietra lavica sporgenti dalla scarpata non potevano essere considerati alla stregua di “ostacoli fissi laterali” di cui al D.M. n. 223 del 1992, ma costituissero piuttosto una caratteristica tipica del territorio etneo.. che non poteva in alcun modo costituire alcun pericolo per gli utenti”, sia in quanto “la presenza di una scarpata di pietra lavica ascendente e con spuntoni di roccia sporgenti, oltre a non avere carattere insidioso per i veicoli circolanti, risultava addirittura “..evidentemente idonea in sé a contenere la fuoriuscita dei veicoli in svio””, laddove “la pietra lavica viene catalogata come uno dei materiali più duri esistenti in natura”.

Con il 5 motivo denunziano violazione dell’art. 2043 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si dolgono non essersi ravvisata la presenza di un’insidia o pericolo occulto nella mancanza di idonea barriera di protezione.

Con il 6 motivo denunziano violazione dell’art. 2051 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si dolgono essersi ravvisato il caso fortuito nella condotta colposa della vittima laddove questa non vale ad interrompere il nesso di causalità in relazione alla riconducibilità – anche solo in parte – del sinistro alla assenza o inadeguatezza di barriere di protezione (guard-rail) e ad integrare di per sé il caso fortuito.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono fondati e vanno accolti nei termini e limiti di seguito indicati.

Va anzitutto osservato che, come questa Corte ha avuto più volte modo di affermare, è configurabile la responsabilità per cosa in custodia disciplinata dall’art. 2051 c.c. a carico dei proprietari o concessionari delle strade (e delle autostrade), stante la relativa disponibilità e l’effettiva possibilità di controllo (cfr., da ultimo, Cass., 5/9/2019, n. 22163; Cass., 12/3/2019, n. 7005) della situazione della circolazione e delle carreggiate, riconducibile ad un rapporto di custodia (v. Cass., 9/6/2016, n. 11802; Cass., 19/11/2009, n. 24419; Cass., 29/3/2007, n. 7763. E già Cass., 13/1/2003, n. 298).

Si è altresì posto in rilievo che ex art. 14 C.d.S., comma 3, per le strade in concessione i poteri e i compiti dell’ente proprietario della strada previsti dal codice della strada sono esercitati dal concessionario, salvo che sia diversamente stabilito (v. Cass., 20/2/2006, n. 3651; Cass., 14/7/2004, n. 13087), mentre per le strade vicinali di cui all’art. 2 C.d.S., comma 7, i poteri dell’ente proprietario sono esercitati dal Comune (art. 14 C.d.S., comma 4).

Si è al riguardo precisato che al fine di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione gli enti proprietari (o i concessionari) sono tenuti a provvedere: a) alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi; b) al controllo tecnico dell’efficienza delle strade e relative pertinenze; c) all’apposizione e manutenzione della segnaletica prescritta.

Si è ulteriormente sottolineato come l’obbligo di prevenire e, se del caso, segnalare qualsiasi situazione di pericolo o di insidia concerne non solo la sede stradale ma anche la zona non asfaltata sussistente ai limiti della medesima, posta a livello tra i margini della carreggiata e i limiti della sede stradale (“banchina”), tenuto conto che la stessa fa parte della struttura della strada, e che la relativa utilizzabilità, anche per sole manovre saltuarie di breve durata, comporta esigenze di sicurezza e prevenzione analoghe a quelle che valgono per la carreggiata, in quanto, in assenza di specifica segnalazione contraria, anch’essa, benché non pavimentata, per la sua apparenza esteriore suscita negli utenti affidamento di consistenza e sicura transitabilità, sicché non deve presentare insidie o trabocchetti, la cui sussistenza comporta pertanto la responsabilità della P.A. per i danni che ai medesimi ne siano derivati (v. Cass., 14/3/2006, n. 5445, e, conformemente, Cass., 4/10/2013, n. 22755 e Cass., 12/7/2018, n. 18125).

La custodia esercitata dal proprietario o gestore della strada non è quindi limitata alla sola carreggiata, ma si estende ai margini della carreggiata (“banchina”) e altresì, ancora più ampiamente, ai margini gli elementi accessori e pertinenze, anche inerti (v. Cass., 20/2/2006, n. 3651, e, conformemente, Cass., 12/5/2015, n. 9547), atteso che anche le cose normalmente innocue sono suscettibili di assumere ed esprimere potenzialità dannose in ragione di particolari circostanze e in particolare in conseguenza di un processo dannoso provocato da elementi esterni (v. Cass., 8/4/1997, n. 3041), risultando ormai superata la distinzione (per la quale v. Cass., 13/5/1997, n. 4196; Cass., 1/6/1995, n. 6125) tra cose inerti e cose intrinsecamente dannose in quanto idonee a produrre lesione a persone e cose in virtù di connaturale forza dinamica o per l’effetto di concause umane o naturali (v. Cass., 30/7/2004, n. 14606; Cass., 28/3/2001, n. 4408; Cass., 22/5/2000, n. 6616; Cass., 11/6/1998, n. 5796; Cass., 28/10/1995, n. 11264; Cass., 23/10/1990, n. 10277; Cass., 9/5/1983, n. 3971).

A tale stregua, la custodia in argomento si estende dunque anche alle cunette e come nella specie alle scarpate laterali e alle eventuali barriere laterali di sicurezza con funzione di contenimento e protezione della sede stradale (v. Cass., 20/11/2020, n. 26527; Cass., 29/5/2015, n. 11159; Cass., 12/5/2015, n. 9547, ove si fa espressamente richiamo (anche) a “Cass. n. 15723/2011 che, pur affermando che “le regole di comune prudenza e le disposizioni regolamentari in tema di manutenzione delle strade pubbliche non impongono al gestore.. l’apposizione di una recinzione dell’intera rete viaria, mediante guard-rail, anche nei tratti non oggettivamente pericolosi, al fine di neutralizzare qualsivoglia anomalia nella condotta di guida degli utenti”, ribadisce implicitamente la necessità della recinzione laddove tale oggettiva pericolosità sussista”; Cass., 13/3/2013, n. 6306. E già Cass., 20/2/2006, n. 3651), sicché occorre accertare giudizialmente la resistenza che la relativa adeguata presenza avrebbe potuto opporre all’urto da parte del mezzo, anche al solo fine di ridurne le conseguenze (v. Cass., 20/11/2020, n. 26527; Cass., 12/5/2015, n. 9547; Cass., 20/2/2006, n. 3651).

La circostanza che l’adozione di specifiche misure di sicurezza non sia prevista da alcuna norma astrattamente riferibile ad una determinata strada comunque non esime la P.A. dal valutare se la medesima possa in concreto costituire un rischio per l’incolumità degli utenti.

La condotta rimane infatti connotata come colposa non solo in caso di inosservanza di specifiche norme prescrittive (colpa specifica) ma anche in caso di violazione delle regole generali di prudenza e di perizia (colpa generica: cfr., relativamente all’omessa predisposizione delle opere accessorie laterali alla sede stradale, Cass., 5/5/2017, n. 10916, ove, in relazione a sinistro occorso in un tratto di strada ad elevato rischio di sbandamento dei veicoli e fiancheggiato da una scarpata, è stata confermata la sentenza di merito che aveva riconosciuto la responsabilità dell’ente locale per aver omesso di installare barriere laterali di contenimento, e ciò indipendentemente dalla sussistenza di una prescrizione in tal senso desumibile, per quel tipo di strada, dal D.M. n. LL.PP. n. 223 del 1992; Cass., 29/9/2017, n. 22801. Cfr. altresì, con riferimento al cedimento del parapetto fiancheggiante la strada, Cass., 15/10/2019, n. 25925. E già Cass., 20/2/2006, n. 3651).

In altri termini, il custode delle strade e relativi accessori e pertinenze risponde non solo (come dalla corte di merito invero erroneamente affermato nell’impugnata sentenza: v. infra) a titolo di colpa specifica per violazione di norme speciali (v. Cass., 5/5/2017, n. 10916; Cass., 20/2/2006, n. 3651) ma anche a titolo di colpa generica per difetto della diligenza adeguata alla natura e alla funzione della cosa in considerazione delle circostanze del caso concreto, in ragione della violazione degli obblighi di controllo, vigilanza e manutenzione discendenti dal principio generale del neminem laedere di cui all’art. 2043 c.c., (cfr. Cass., 15/10/2019, n. 25925; Cass., 29/9/2017, n. 22801. Cfr. altresì, con riferimento a differente fattispecie, Cass., 23/1/2014, n. 1355, ove si pone ulteriormente in rilievo come la “colpa della P.A. rimane d’altro canto.. integrata anche in ragione della violazione dei dovuti comportamenti di vigilanza e controllo.. costituenti limiti esterni alla sua attività discrezionale ed integranti la norma primaria del neminem laedere di cui all’art. 2043 c.c.. cui la P.A. è d’altro canto tenuta già in base all’obbligo di buona fede o correttezza, generale principio di solidarietà sociale – che trova applicazione anche in tema di responsabilità extracontrattuale – in base al quale il soggetto è tenuto a mantenere nei rapporti della vita di relazione un comportamento leale, specificantesi in obblighi di informazione e di avviso nonché volto alla salvaguardia dell’utilità altrui – nei limiti dell’apprezzabile sacrificio -, dalla cui violazione conseguono profili di responsabilità in ordine ai falsi affidamenti anche solo colposamente ingenerati nei terzi”, sicché “in caso di concretizzazione del rischio che la regola violata tende a prevenire non può prescindersi dalla considerazione del comportamento dovuto e della condotta nel singolo caso in concreto mantenuta, e il nesso di causalità che i danni conseguenti a quest’ultima astringe rimane invero presuntivamente provato”).

A tale stregua, il danneggiato che domanda il risarcimento del pregiudizio sofferto in conseguenza dell’omessa o insufficiente manutenzione della cosa in custodia, o di suoi accessori e pertinenze, è secondo le regole generali in tema di responsabilità civile tenuto a dare la prova che in relazione alle circostanze del caso concreto i danni subiti derivano dalla cosa (cfr. Cass., 20/2/2006, n. 3651).

Tale prova consiste nella dimostrazione del verificarsi dell’evento dannoso e che questo deriva dalla cosa in custodia.

Derivazione la cui prova può essere data anche per presunzioni (cfr. Cass., 20/2/2006, n. 3651, ove si pone in rilievo che la prova del danno è di per sé indice della sussistenza di un risultato “anomalo”, e cioè dell’obiettiva deviazione dal modello di condotta improntato ad adeguata diligenza che normalmente evita il danno).

Nel configurare la responsabilità oggettiva del custode, l’art. 2051 c.c., prevede, in deroga alla regola generale di cui al combinato disposto degli artt. 2043 e 2697 c.c., l’inversione dell’onere della prova, il custode potendo vincere tale presunzione e liberarsi dalla responsabilità solamente dando la prova del fortuito (v., da ultimo, Cass., 10/6/2020, n. 11096; Cass., 12/5/2020, n. 8811; Cass., 5/5/2020, n. 8466. V. altresì Cass., 27/6/2016, n. 13222; Cass., 9/6/2016, n. 11802; Cass., 24/3/2016, n. 5877; Cass., 29/5/2015, n. 11159), dimostrando che il danno si è verificato in modo non prevedibile né superabile con lo sforzo diligente adeguato alle concrete circostanze del caso (v. Cass., 10/6/2020, n. 11096; Cass., 12/5/2020, n. 8811; Cass., 9/6/2016, n. 11802; Cass., 20/2/2009, n. 4234; Cass., 11/3/2006, n. 5445).

Deve pertanto provare di avere espletato, con la diligenza adeguata alla natura e alla funzione della cosa in considerazione delle circostanze del caso concreto, tutte le attività di controllo, vigilanza e manutenzione su di esso gravanti in base a specifiche disposizioni normative, e già del principio generale del neminem laedere.

Ai fini della prova liberatoria per sottrarsi alla propria responsabilità ex art. 2051 c.c., è d’altro canto necessario distinguere tra le situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze della cosa e quelle provocate da una repentina ed imprevedibile alterazione dello stato della medesima (v., con riferimento alle strade, già Cass., 20/2/2006, n. 3651), solamente in quest’ultima ipotesi potendo invero configurarsi il caso fortuito, in particolare allorquando l’evento dannoso si sia verificato prima che il custode abbia potuto rimuovere, nonostante l’attività di controllo espletata con la dovuta diligenza al fine di tempestivamente ovviarvi, la straordinaria ed imprevedibile situazione di pericolo determinatasi (v. Cass., 10/6/2020, n. 11096; Cass., 24/2/2011, n. 4495. V. altresì Cass., 12/4/2013, n. 8935; Cass., 12/3/2013, n. 6101; Cass., 18/10/2011, n. 21508; Cass., 6/6/2008, n. 15042; Cass., 20/2/2006, n. 3651).

La suindicata inversione dell’onere probatorio indubbiamente incide sulla posizione sostanziale delle parti, agevolando la posizione del danneggiato e aggravando quella del danneggiante (v. Cass., 10/10/2008, n. 25029; Cass., 29/9/2006, n. 21244; Cass., 20/2/2006, n. 3651. E già Cass., 14/3/1983, n. 1897, nonché, da ultimo, Cass., 10/6/2020, n. 11096).

Quale presunto responsabile il custode può se del caso dedurre e provare il concorso di colpa del danneggiato ex art. 1227 c.c., comma 1, (v. Cass., 10/6/2020, n. 11096; Cass., 22/3/2011, n. 6529; Cass., 8/8/2007, n. 17377; Cass., 20/2/2006, n. 3651. In ordine alla compatibilità tra la responsabilità della P.A. ex art. 2043 c.c. per c.d. insidia stradale e il concorso colposo del danneggiato ex art. 1227 c.c., comma 1, cfr. Cass., 3/12/2002, n. 17152; Cass., 1/1/2004, n. 19653), al riguardo peraltro sottolineandosi come la circostanza che alla causazione dell’evento dannoso abbia contribuito la condotta colposa dell’utente della strada non sia idonea ad integrare il caso fortuito, a meno che la stessa non sia abnorme (v. Cass., 20/11/2020, n. 26527; Cass., 12/5/2015, n. 9547), come in ipotesi di condotta dolosa.

Ove non sia abnorme o dolosa, la condotta del danneggiato non può considerarsi invero idonea ad “interrompere” il nesso di causalità con l’evento da essa – quand’anche con colpa grave – determinato (v. Cass., 16/2/2021, n. 4035; Cass., 20/11/2020, n. 26527; Cass., 12/5/2015, n. 9547), a porsi cioè quale causa esclusiva del danno – evento, giacché in tale ipotesi senza l’efficienza causale della cosa l’evento non si sarebbe o si sarebbe in termini diversi verificato (cfr. Cass., 29/7/2016, n. 15761), potendo -come detto-rilevare se del caso sotto il profilo del concorso di colpa ex art. 1227,1 co., c.c. (v. Cass., 16/2/2021, n. 4035; Cass., 20/11/2020, n. 26527; Cass., 12/5/2015, n. 9547).

Orbene, i suindicati principi sono stati dalla corte di merito invero disattesi nell’impugnata sentenza.

É rimasto nel caso accertato che il [Omissis] alla guida della Jaguar X36 Sport tg. [Omissis] “il [Omissis] percorreva l’autostrada A 18 [Omissis] diretto dal [Omissis] a [Omissis] quando, giunto intorno alle ore 11,50 quasi all’altezza del Km. [Omissis], dopo essere uscito da una curva sinistrorsa ad ampio raggio perdeva il controllo della vettura sul manto stradale bagnato per la pioggia in atto”, mentre marciava “sulla corsia di sorpasso”.

Postasi “quasi perpendicolarmente all’asse stradale”, l’auto “impattava con il terrapieno che delimitava a destra la carreggiata”, andando “a collidere in modo violento con il cordolo posto oltre la corsia di emergenza all’altezza del km 68+520”, e proiettandosi quindi “sulla scarpata ascendente”, colpiva “delle rocce laviche, toccava il piano viabile.., urtava per una seconda volta l’ammasso lavico tanto da spaccare una grossa pietra che ricadeva sulla cunetta e finiva con l’arrestarsi capovolta tra la corsia di marcia e quella d’emergenza in corrispondenza del km. [Omissis] (ovvero 40 metri circa più avanti rispetto al primo punto di impatto con il cordolo)”.

Orbene, dopo aver escluso, con accertamento in punto di fatto adeguatamente motivato – e pertanto non sindacabile in questa sede mediante la richiesta rivalutazione delle emergenze probatorie – che “la perdita di controllo della vettura da parte del [Omissis] ” sia “dipesa dall’usura del manto stradale”, i primi 3 motivi di ricorso dovendo quindi rigettarsi, nell’impugnata sentenza, posta correttamente a fondamento del proprio giudizio l’art. 2051 c.c., la corte di merito ha escluso altresì che “la presenza delle rocce laviche integrasse una situazione di oggettiva pericolosità tale da imporre la collocazione di barriere”, ritenendo non esservi dubbio “che la scarpata ascendente, pur se di natura rocciosa, non dovesse proteggersi con apposite barriere, essendo evidentemente idonea in sé a svolgere la funzione di contenimento dei veicoli in svio”, e ravvisando la relativa “esistenza.. connaturata all’ambiente locale”, nonché “assimilabili agli “ostacoli fissi isolati” esemplificati dalla norma” di cui all'”allegato 1 al D.M. n. 223 del 1992″ i “massi sporgenti dal relativo profilo ma comunque collocati in posizione rialzata rispetto alla sede stradale”.

Ha quindi osservato che “il tratto della A 18 comprendente il Km. 68-500 era entrato in esercizio nel 1971”, in “epoca in cui vi era ancora un vuoto normativo per ciò che atteneva le barriere di sicurezza”, essendo solo “in anni successivi” state “emanate le varie disposizioni richiamate dal C.T.U. nel suo elaborato, dalle norme tecniche CNR 28.7.1980 n. 78, alla circolare LL.PP. 11.7.1987 n. 2337 fino al già citato D.M. n. 233 del 1992, ed alla Circolare LL.PP 9.6.1995 n. 2595”, introducenti le “prescrizioni via via più dettagliate e rigorose sul piano tecnico a proposito delle barriere stradali in acciaio, valevoli anche per i rimpiazzi di barriere esistenti nonché – come previsto dal D.M. n. 233 del 1992, art. 2 – “in occasione dell’adeguamento di tratti significativi di tronchi stradali esistenti””.

Ha pertanto ritenuto nella specie integrato “il caso fortuito esimente”, in ragione della ravvisata sussistenza della “prova che fosse stata la vittima – come già motivatamente affermato dal primo giudice – a tenere una condotta di guida inadeguata rispetto alle condizioni ambientali, senza le quali non si sarebbe determinato un così improvviso sbandamento della potente vettura ed un così violento impatto contro la scarpata destra”.

Orbene, siffatto assunto è erroneo.

La corte di merito ha infatti omesso di indicare su quali basi abbia ravvisato la condotta nella specie mantenuta dal defunto [Omissis] quale causa esclusiva del sinistro in argomento, e come sia pervenuta a considerarla idonea ad “interrompere” il nesso di causalità tra la cosa e il danno.

Nell’affermare che il sinistro è stato nella specie causato dall’eccessiva velocità di crociera mantenuta dal conducente del veicolo, la corte di merito ha invero del tutto trascurato di considerare la resistenza che una barriera protettiva di sicurezza avrebbe potuto opporre all’urto da parte del mezzo e di vagliare quali conseguenze – differenti o meno – ne sarebbero in tal caso scaturite (cfr. Cass., 12/5/2015, n. 9547).

Non ha cioè giudizialmente accertato se la presenza della roccia lavica ai margini della carreggiata richiedesse nella specie l’apprestamento di soluzioni idonee ad evitare la fuoriuscita di un veicolo, (non deliberatamente voluto ma) da colpa (- quand’anche grave – o da malore) del conducente determinato (cfr. Cass., 29/5/2015, n. 11159), e scientificamente valutato quali sarebbero state le conseguenze dell’urto contro una barriera protettiva, anche in caso di fuoriuscita ciononostante verificatasi (cfr. Cass., 8/8/2007, n. 17377).

Nel limitarsi ad apoditticamente escludere che “la presenza delle rocce laviche integrasse una situazione di oggettiva pericolosità tale da imporre la collocazione di barriere”, non essendovi dubbio “che la scarpata ascendente, pur se di natura rocciosa, non dovesse proteggersi con apposite barriere, la relativa “esistenza” apparendo invero “connaturata all’ambiente locale” nonché “idonea in sé a svolgere la funzione di contenimento dei veicoli in svio”, né potendo d’altro canto “i massi sporgenti dal relativo profilo ma comunque collocati in posizione rialzata rispetto alla sede stradale.. considerarsi assimilabili agli “ostacoli fissi isolati” esemplificati dalla norma” di cui all'”allegato 1 al D.M. n. 223 del 1992″, la corte di merito si è invero limitata ad una motivazione in realtà meramente apparente (cfr. Cass., 12/5/2015, n. 9547), e pertanto inesistente (cfr. Cass., 16/2/2021, n. 4030; Cass., 20/11/2018, n. 29898; Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053), omettendo di compiere una specifica disamina, richiesta e giustificata – se non da specifiche norme tecniche – dalla norma primaria del neminem laedere, al fine di accertare se e in quale misura l’apposizione di una barriera per quel tipo di strada e di “scarpata ascendente..di natura rocciosa”, avrebbe potuto impedire la fuoriuscita del veicolo dalla sede stradale o altrimenti comunque ridurne le conseguenze (cfr. Cass., 12/5/2015, n. 9547).

Atteso quanto sopra rilevato ed esposto, in accoglimento p.q.r. del 4, 5 e 6 motivo di ricorso, rigettati i primi 3 motivi motivo di ricorso nei termini e limiti sopra esposti, nonché assorbiti ogni altra questione e diverso profilo, dell’impugnata sentenza s’impone pertanto la cassazione in relazione, con rinvio alla Corte d’Appello di [Omissis], che in diversa composizione procederà a nuovo esame, facendo dei suindicati disattesi principi applicazione.

Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione. Cassa in relazione l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di [Omissis], in diversa composizione.

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Scarica Cass. Civ., Sez. III, 09/07/2021, n. 19610

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