Contenuti
Nella prima parte del presente contributo, pubblicata ieri, si sono schematicamente affrontati il tema generale della sospensione del processo, nonché, più specificatamente, quello della sospensione necessaria e facoltativa di esso, rispettivamente ex art. 295 e 337, 2° co. c.p.c., tentando altresì di delineare il discrimine tra l’ambito applicativo dell’una e l’altra disposizione, sulla scorta dell’orientamento giurisprudenziale da ultimo in proposito delineatosi.
In questa seconda parte, viceversa, ci si concentrerà, sempre sommariamente e con finalità essenzialmente pratiche, sul distinto tema dei rimedi impugnatori apprestati avverso tale genere di provvedimento sospensivo.
Regolamento necessario di competenza quale strumento di impugnazione
In merito all’aspetto appena delineato, dunque, va in primo luogo osservato che l’ordinamento prevede uno specifico mezzo di gravame avverso i provvedimenti sospensivi in questione, mezzo che, tuttavia, nulla ha, a che spartire, quantomeno sotto un profilo formale, con la sospensione del giudizio, consistendo esso nel regolamento necessario di competenza ex art. 42 c.p.c.
Ratio della previsione, forma del provvedimento, ipotesi applicative
La ratio di tale particolare rimedio – testualmente previsto dall’art. 42 c.p.c. cit. per la sola ipotesi della sospensione necessaria1 di cui all’art. 295 c.p.c.., ma pacificamente esteso, in via interpretativa, anche a quella facoltativa ex art. 337, 2° co., c.p.c.2 – è stata individuata nel
«disfavore manifestato dal legislatore per la collocazione di un procedimento in stato di quiescenza – onde l’opportunità di un immediato controllo, tramite impugnazione, sull’esistenza dei presupposti in diritto della sospensione»,3
aggiungendosi a ciò anche l’opportunità di apprestare
«uno strumento immediato a chi subisce il pregiudizio della sospensione del processo a causa di un’errata valutazione dei presupposti di legge, e quindi di ovviare al rischio che l’effettività della tutela giurisdizionale del diritto azionato sia vanificata dalla stasi del processo».4
Il relativo provvedimento viene adottato, come per lo più si ritiene, nella forma dell’ordinanza non revocabile in quanto soggetta allo specifico gravame di specie,6 con la precisazione che gli atti processuali che siano stati compiuti successivamente all’eventuale revoca indebitamente disposta sono nulli.7
E’ bene, inoltre, precisare, che tale ordinanza è impugnabile ex art. 42 c.p.c. cit. nella sola ipotesi in cui essa disponga effettivamente la sospensione del giudizio, essendo viceversa precluso l’accesso al gravame nel caso in cui la sospensione venga negata.
Tale distinzione, secondo la giurisprudenza sul punto, discende dal tenore testuale della disposizione di cui all’art. 42 c.p.c. appena menzionato
«dalla “ratio” di essa (quella, cioè, di assicurare un controllo immediato sulla legittimità di un provvedimento idoneo ad incidere significativamente sui tempi di definizione del processo) e dall’impossibilità di accedere ad un’interpretazione analogica della norma, dato il suo carattere eccezionale».8
Sempre per l’ipotesi di rigetto dell’istanza di sospensione, inoltre, va aggiunto che la giurisprudenza ha altresì disconosciuto la ricorribilità ex art. 111 Cost. del relativo provvedimento (salva la facoltà di gravarsi avverso il diniego insieme all’impugnazione della sentenza)9, mentre ne ha, d’altro canto, ammesso la revocabilità da parte del medesimo giudice che l’ha pronunziato10 (per converso esclusa, come si è sopra visto, nel caso in cui la sospensione sia stata disposta).
Infine, come si è già osservato al paragrafo che precede, cui si rinvia, si ricorda che il rimedio di cui all’art. 42 c.p.c. in esame è stato esteso in via interpretativa anche ai provvedimenti sospensivi resi ex art. 337, 2° co., c.p.c.., oltre che a quelli assunti a mente dell’art. 295 c.p.c., unica ipotesi testualmente presa considerazione dalla norma de qua.
Il procedimento
Sotto un profilo strettamente processuale, il ricorso ex art. 42 c.p.c. cit., introduce un rito di legittimità che «in generale mutua la sua disciplina da quella del ricorso per cassazione ordinario».11
Applicabilità dei principi generali che regolano il ricorso per cassazione
Dunque, sia pure tentando di schematizzare una serie di pronunce non sempre perfettamente allineabili, può dirsi che a tale tipologia di ricorso saranno applicabili – di massima e sempre in tesi generale – i principi comuni a tale tipo di ricorso, quali, ad es.:
- l’onere di autosufficienza e di specificità dei motivi; 12
- l’onere di sussunzione di questi ultimi in una delle categorie prese in considerazione dall’art. 360 c.p.c. e, segnatamente, in quella degli errores in procedendo ex n. 4 dell’art. 360 c.p.c. cit.,11 tenendosi invece ad escludere – quantomeno nell’ambito del regolamento di competenza proposto con riferimento al tema della vera e propria competenza – il rilievo del vizio di motivazione ex n. 5 art. 360 c.p.c. cit.;13
- l’applicabilità, infine, delle cause di inammissibilità previste dall’art. 360-bis,14, 36615 e, sintantoché vigente, anche quella di cui all’art. 366-bis c.p.c.16
Non necessità del patrocinio di avvocato abilitato dinanzi alle magistrature superiori e di procura speciale
Si rinvengono, tuttavia, eccezioni a tale uniformità processuale, una delle quali attiene alla difesa tecnica, essendosi escluso che per proporre il ricorso di cui si tratta sia necessario munirsi di difensore abilitato al patrocinio dinanzi alle magistrature superiori, officiato tramite l’apposita procura speciale ex 365 c.p.c..
La conclusione, peraltro legittimata dallo stesso tenore testuale del 1° co., dell’art. 47 c.p.c. (che recita: «L’istanza di regolamento di competenza si propone alla Corte di cassazione con ricorso sottoscritto dal procuratore o dalla parte, se questa si è costituita personalmente») è stata argomentata in giurisprudenza in considerazione del fatto che il procedimento in questione rappresenta «semplice incidente del processo di merito»,17 nel contesto del quale si inquadra.
Di talché è tralaticia l’affermazione secondo la quale
«l’istanza di regolamento di competenza può essere validamente sottoscritta dal difensore al quale sia stato conferito mandato “ad litem” per il giudizio di merito e persino da procuratore legale non abilitato all’esercizio del patrocinio in cassazione»,18
giungendosi anche ad ammetterne la presentazione ad opera della «stessa parte che sia stata autorizzata a difendersi in proprio» in quanto
«la procura conferita per un determinato grado del giudizio di merito, ove non escluda espressamente, o comunque in modo inequivocabile, la facoltà di proporre eventualmente istanza di regolamento di competenza, abilita il difensore alla proposizione della relativa istanza».19
La motivazione della sospensione: ipotesi di sindacabilità
Da ultimo, sotto il profilo della formulazione dei motivi di ricorso è opportuno segnalare quella che sembra essere un’eccezione al già ricordato principio della impossibilità di sussumere le ragioni di doglianza fatte valere con il gravame in questione nell’ambito del vizio di motivazione ex n. 5 dell’art. 360 c.p.c. (v. supra al precedente paragrafo 3.1).
Nel caso di ricorso avverso il provvedimento di sospensione (facoltativa) adottato dal giudice a quo a mente dell’art. 337, 2° co., c.p.c. (e solo in tale caso, giacché nell’esplicazione del potere di sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c., la sospensione discende automaticamente dal rilievo del nesso di pregiudizialità, non residuando alcun margine di discrezionalità che imponga al giudice l’onere di motivarne l’utilizzo), infatti, si è ritenuto che il sindacato della Corte di Cassazione comprende la
«verifica dell’esistenza dei presupposti giuridici in base ai quali il giudice di merito si è avvalso del potere discrezionale di sospensione, nonché della presenza di una motivazione non meramente apparente in ordine al suo esercizio».20
Si deduce da tale giurisprudenza, dunque, che:
- nell’ipotesi di sospensione disposta ai sensi dell’art. 337, 2° co., c.p.c. qui in questione, la valutazione del giudice a quo si deve esplicare, oltre che nel riscontro dei presupposti di esercizio del potere sospensivo, anche nella verifica dell’opportunità di esercitarlo, dovendo cioè egli dare conto, laddove accolga l’istanza di sospensione, del perché non ritenga di adeguarsi all’«autorità» della sentenza (impugnata) dinanzi a lui invocata;
- sempre in detta ipotesi, dunque, il sindacato della Suprema Corte adita con il ricorso ex art. 42 c.p.c. avverso il provvedimento di sospensione si potrà allora estendere (diremmo: su istanza di parte, ma anche ex officio) alla verifica dell’idoneità di tale motivazione; tema, quest’ultimo, che si interseca con quello dei limiti della sindacabilità del vizio di motivazione in cassazione dopo la riforma dell’art. 360, n. 5, intervenuta nell’anno 2012,21 in relazione al quale non si può che fare rinvio ai noti arresti a SS.UU. 8053-8054/201422 ed ai principi ivi espressi.
L’errore nella scelta del tipo di sospensione
Nel quadro alquanto articolato che si è sopra tentato di riassumere un cenno conclusivo merita ancora il tema dell’errore nella scelta del tipo di sospensione, necessaria o facoltativa, commesso da parte del giudice del procedimento pregiudicato.
Si ricorderà da quanto si è detto nella precedente prima parte del presente articolo che il discrimine tra l’ambito di applicazione della sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. e di quella facoltativa ex art. 337, 2° co. c.p.c., risiede nel fatto nel non essere stata emessa (nel primo caso), ovvero nell’essere stata emessa (nel secondo), una sentenza non definitiva nell’ambito del processo pregiudicante.23
Secondo la giurisprudenza che si è allora ricordata, infatti, laddove tale sentenza sia stata effettivamente emessa (e laddove, naturalmente, essa non sia passata in giudicato, giacché in ipotesi vi ci si dovrebbe ovviamente conformare) si determina l’onere per il giudice della causa pregiudicata di stabilire ed adeguatamente motivare, a mente dell’art. 337, 2° co., c.p.c.
«se mantenere in stato di sospensione il processo di cui una delle parti abbia sollecitato la ripresa. E tale valutazione andrà fatta sulla base della plausibile controvertibilità che il confronto tra la decisione intervenuta e la critica che ne è stata svolta abbia fatto emergere».24
Tutti elementi, questi, assenti, viceversa, nell’opzione necessitata di cui all’art 295 c.p.c., ove la sospensione discende in modo automatico dalla verifica del nesso di pregiudizialità tra di due giudizi presi in considerazione nel caso di specie.
Il che fa emergere il seguente tema: quid laddove il giudice erri nell’applicare la norma, sospendendo ex art. 295 c.p.c. invece che ex art. 337, 2° co., c.p.c., come avrebbe dovuto ricorrendo i summenzionati presupposti di applicabilità della disposizione in esame?
La risposta offerta sul punto dalla giurisprudenza sembra alquanto decisa, andando nel senso che
«quando sia constatata l’erronea applicazione dell’art. 295, lo scrutinio del fondo del ricorso per regolamento si debba arrestare, restando al giudice del merito di tornare a valutare se la sospensione non possa essere ordinata in base ai presupposti indicati dall’art. 337, comma 2».25
Conclusione la cui (eccessiva) nettezza sembra tuttavia mitigata dal rilievo, conforme ai principi di economia cui il procedimento in questione è pur sempre soggetto, secondo il quale al rinvio sopra descritto si debba procedere sempre che non si riscontri, nel provvedimento comunque assunto, un’«adeguata motivazione sulle ragioni di opportunità che avrebbero potuto legittimare tale tipo di sospensione».26
Note al testo
La prima parte del presente articolo è stata pubblicata il 04/02/2020. Leggila
1.L’art. 42 c.p.c. recita «Regolamento necessario di competenza – [1] La ordinanza che, pronunciando sulla competenza anche ai sensi degli articoli 39 e 40, non decide il merito della causa e i provvedimenti che dichiarano la sospensione del processo ai sensi dell’articolo 295 possono essere impugnati soltanto con istanza di regolamento di competenza».
2. In tal senso v. Cass. Civ., Sez. VI, 30/07/2015, n. 16142, secondo la quale «in tema di sospensione facoltativa del processo, disposta quando in esso si invochi l’autorità di una sentenza pronunciata all’esito di un diverso giudizio e tuttora impugnata, la relativa ordinanza, resa ai sensi dell’art. 337, comma 2, c.p.c., è impugnabile col regolamento di competenza di cui all’art. 42 c.p.c., e il sindacato esercitabile al riguardo dalla Corte di cassazione è limitato alla verifica dell’esistenza dei presupposti giuridici in base ai quali il giudice di merito si è avvalso del potere discrezionale di sospensione, nonché della presenza di una motivazione non meramente apparente in ordine al suo esercizio».
3. Così Cass. Civ., Sez. I, 27/09/2002, n. 14062.
4. Così Cass. Civ., sez. I , 07/07/2001 , n. 9261.
5. V. Cass. Civ., Sez. II , 09/07/2003 , n. 10837, la cui massima recita «il provvedimento di sospensione del processo emesso ai sensi dell’art. 295 c.p.c., pur avendo forma di ordinanza, non è revocabile dal giudice che lo ha pronunciato, poiché tale revocabilità confliggerebbe con la previsione della impugnabilità del provvedimento predetto a mezzo regolamento necessario di competenza (ex art. 42 del codice di rito, così come sostituito dall’art. 6 della legge n. 353 del 1990)». In termini, si veda anche Cass. Civ., Sez. Lav., 26/08/2009 , n. 18685.
6. Così Cass. Civ., Sez. II, 25/03/2005, n.6479, a mente della quale «il provvedimento che dispone la sospensione necessaria del processo a norma del art. 295 c.p.c., pur avendo forma di ordinanza, non è revocabile dal giudice che lo ha pronunciato, e l’eventuale provvedimento di revoca provoca la nullità dei successivi atti del procedimento e della sentenza emessa a definizione di esso».
[^7:] Cass. Civ., sez. VI , 07/03/2017 , n. 5645.
[^8:] V. Cass. Civ., sez. I , 07/07/2001 , n. 9261, già citata nel testo al rimando alla nota 3, la cui massima recita «l’ordinanza che rigetta l’istanza di sospensione del processo non è, stante la sua natura ordinatoria censurabile con il rimedio del ricorso straordinario ex art. 111 cost., ma solo attraverso la impugnazione della sentenza che ha definito il processo». In motivazione la sentenza chiarisce che l’esclusione del rimedio ex art. 111 Cost. è dovuta alla «natura dell’ordinanza impugnata, assolutamente priva dei caratteri della decisorietà e definitività. Detto provvedimento invero è stata emesso nell’esercizio del potere meramente ordinatorio del giudice di regolare il rapporto processuale, è sempre revocabile ed è censurabile solo attraverso l’impugnazione della sentenza che definisce il processo, nell’ambito della quale le parti potranno prospettare l’esistenza delle condizioni di legge richieste per la sospensione necessaria».
9 Così Cass. Civ., Sez. Lav. , 29/07/2004 , n. 14430, ove si legge che «il provvedimento che nega la sospensione del processo ai sensi dell’art. 295 c.p.c. al pari di quello che la dispone o la revoca, ha carattere ordinatorio e non decisorio, in quanto regola lo svolgimento del processo senza pronunziare sulle pretese dedotte in giudizio, e, pertanto, è soltanto revocabile da parte del giudice che lo ha emesso, ma non è suscettibile di impugnazione, neppure mediante ricorso per cassazione ex art. 111 cost., ancorché adottato erroneamente sotto forma di sentenza, nè nei suoi confronti è possibile esperire il regolamento di competenza, ex art. 42 c.p.c. come sostituito dall’art. 6 l. 26 novembre 1990 n. 353, in quanto tale possibilità è esperibile solo contro i provvedimenti che dichiarano la sospensione».
10. Così, da ultimo, Cass. Civ., Sez. VI, 08/02/2011, n. 3142. V. pure Cass. Civ., Sez. III, 28/06/2007, n. 14889 secondo cui «il regolamento è chiesto alla Corte con ricorso (art. 47 cod. proc. civ.) e deve essere proposto per far valere lo stesso tipo di vizi contemplati dal motivo di ricorso per Cassazione per violazione di norme sulla competenza».
11. Cass. Civ., Sez. III, 21/07/2006, n. 16752, secondo cui il ricorso in esame «deve, pertanto, contenere tutti gli elementi previsti dall’art. 366 c.p.c., in ordine ai quali l’art. 47 del codice di rito non disponga una regolamentazione differenziata, ivi compreso il motivo per il quale si contesta la decisione impugnata» e che ad esso è «applicabile il principio di cd. autosufficienza del ricorso per Cassazione, avendo la parte istante in tale sede l’onere di indicare in modo adeguato e specifico le ragioni del proprio dissenso rispetto alla pronunzia impugnata (…) non potendo invero limitarsi a fare riferimento alle difese svolte in sede di merito, asseritamente non valutate o malamente valutate dal Giudice a quo».
12. Cass. Civ., Sez. III, 04/07/2007, n. 15108, secondo la quale in ipotesi «si sottopone alla corte una questione che non è diversa da quella che le è sottoposta quando la cassazione della sentenza è chiesta per il motivo di nullità del procedimento (art. 360 c.p.c., n. 4)». V, pure Cass. Civ., Sez. VI, 10/07/2013, n. 17084, secondo la quale il regolamento «costituisce un mezzo di impugnazione col quale si allega una violazione di legge attinente a norme sul procedimento, che sarebbero state deducibili con il ricorso di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, ove non prospettabile immediatamente con il regolamento di competenza».
13. Così, tra le altre, Cass. Civ., Sez. VI, 22/05/2015, n. 10679 (ex plurimis), secondo cui «il vizio di motivazione deducibile ai sensi dell’art. 360 c.p.c. è correlato all’accertamento e alla valutazione di punti di fatto rilevanti per la decisione e pertanto, secondo risalente opinione (347/2000; 4010/2003), tale vizio non può essere dedotto nel ricorso per regolamento di competenza, in cui sono contestabili soltanto l’affermazione o l’applicazione di principi giuridici» e Cass. Civ., Sez. VI, 10/07/2013, n. 17084, secondo la quale, posto che tramite regolamento sono deducibili solo prospettazioni ex art. 360, n. 4 c.p.c., ne deriva l’inammissibilità del ricorso «nella parte in cui si denunciano vizi di motivazione, in quanto, attenendo il regolamento alla violazione dei criteri determinativi della competenza, non rileva il riferimento a carenze motivazionali che, nel quadro dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sono correlati ad accertamenti e a valutazioni di fatto, e non all’affermazione di principi giuridici».
14. Cass. Civ., Sez. VI, 08/02/2011, n. 3142, secondo la quale «la condizione di ammissibilità del ricorso indicata dell’art. 360 bis, n. 1, c.p.c. si applica anche al regolamento di competenza, dal momento che tale impugnazione mutua la sua disciplina da quella del ricorso per cassazione ordinario».
15. Cass. Civ., Sez. VI, 04/11/2015, n. 22576, secondo cui «è inammissibile il ricorso per regolamento di competenza, avverso l’ordinanza di sospensione del processo ex articolo 295 c.p.c. per violazione dell’articolo 366, n. 6, c.p.c. ove manchi l’indicazione specifica degli atti del giudizio pregiudicante e la loro puntuale individuazione, tra quelli prodotti in giudizio, onde poter essere esaminati dalla S.C. ai fini della risoluzione della questione di sospensione».
16. Cass. Civ., Sez. Lav., 06/08/2009, n. 17974, secondo cui «il regolamento necessario di competenza, di cui all’art. 42 c.p.c., proposto in regime di applicabilità della riforma di cui al d.lg. n. 40 del 2006, deve contenere, a pena di inammissibilità, la formulazione del quesito di diritto, trovando tale soluzione conferma nell’art. 380 ter c.p.c., che prevede l’applicabilità del procedimento ordinario per la decisione del regolamento di competenza solo ove il presidente della sezione non ritenga di provvedere ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., disposizione che, a sua volta, richiama l’art. 375, comma 1, n. 5, c.p.c., relativa all’ipotesi di difetto nei motivi dei requisiti di cui all’art. 366 bis c.p.c., con conseguente applicabilità di detta ultima disposizione anche all’istanza di regolamento di competenza».
[^17:] Cass. Civ., Sez. III, 23/03/1984, n. 1929, secondo cui «poiché il regolamento di competenza, pur avendo natura di mezzo di impugnazione, opera come un semplice incidente del processo di merito, la delega per esso rilasciata ad un diverso difensore – abilitato al patrocinio innanzi alla Suprema Corte – non comporta la sostituzione del procuratore del giudizio di merito, il quale conserva la qualità di procuratore domiciliatario, con la conseguenza che lo stesso è legittimato a ricevere la notifica del successivo atto di riassunzione del giudizio di merito dopo la pronuncia regolatrice della competenza».
[^18:] Cass. Civ., Sez. I, 11/09/1990, n. 9347, secondo cui «l”istanza di regolamento di competenza può essere validamente sottoscritta dal difensore al quale sia stato conferito mandato “ad litem” per il giudizio di merito e persino da procuratore legale non abilitato all’esercizio del patrocinio in cassazione o, trattandosi di giudizio davanti al pretore, nonché dalla stessa parte che sia stata autorizzata a difendersi in proprio».
19.Si veda in tal senso la recente recente Cass. Civ., Sez. VI, 16/03/2018, n. 6620, nel cui testo si legge: «la procura conferita per un determinato grado del giudizio di merito, ove non escluda espressamente, o comunque in modo inequivocabile, la facoltà di proporre eventualmente istanza di regolamento di competenza, abilita il difensore alla proposizione della relativa istanza, prevalendo, sulla presunzione di conferimento della procura per un determinato grado di giudizio, stabilita dall’art. 83 c.p.c., u.c., la norma speciale di cui all’art. 47, primo comma, dello stesso codice, con la conseguenza che questa può essere validamente sottoscritta dal difensore che rappresenti la parte nel giudizio di merito, finanche ove non iscritto all’albo degli avvocati abilitati al patrocinio davanti alle Magistrature Superiori (tra le ultime: Cass. 26/10/2017, n. 25509; Cass. 19/03/2012, n. 4345; tra le innumerevoli altre: Cass. 12/08/1982, n. 4571; Cass. 26/04/1999, n. 4157; Cass. ord. 07/05/2004, n. 8755); sicchè, non risultando dal testo della procura ad litem rilasciata al difensore dei V. alcuna espressa esclusione riferita alla proposizione del regolamento di competenza, quella va reputata del tutto idonea a sorreggere la rappresentanza e difesa di dette parti nel presente procedimento».
20. Cass. Civ., Sez. VI, 30/07/2015, n. 16142, secondo la quale «in tema di sospensione facoltativa del processo, disposta quando in esso si invochi l’autorità di una sentenza pronunciata all’esito di un diverso giudizio e tuttora impugnata, la relativa ordinanza, resa ai sensi dell’art. 337, comma 2, c.p.c., è impugnabile col regolamento di competenza di cui all’art. 42 c.p.c., e il sindacato esercitabile al riguardo dalla Corte di cassazione è limitato alla verifica dell’esistenza dei presupposti giuridici in base ai quali il giudice di merito si è avvalso del potere discrezionale di sospensione, nonché della presenza di una motivazione non meramente apparente in ordine al suo esercizio». L’enfasi nel testo è aggiunta.
21. Ex art. 54, 1° co., D.L. 83/2012, conv. in L. 134/2012.
22. Cass. Civ., SS.UU., 07/04/2014, n. 8053, secondo cui «la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione».
23. Si veda la prima parte del presente contributo, al paragrafo 4.
24. Così Cass. Civ., SS.UU., 19/06/2012, n. 10027, ove si legge: «da un punto di vista logico l’istituto processuale della sospensione necessaria è costruito su questi presupposti: la rilevazione del rapporto di dipendenza che si effettua ponendo a raffronto gli elementi fondanti delle due cause, quella pregiudicante e quella in tesi pregiudicata; la conseguente necessità che i fatti siano conosciuti e giudicati secondo diritto nello stesso modo; lo stato di incertezza in cui il giudizio su quei fatti versa, perché controversi tra le parti. L’idoneità della decisione sulla causa pregiudicante a condizionare quella della causa che ne dipende giustifica allora che questa causa resti sospesa a prescindere dal segno che potrà avere la decisione sull’altra. Lo impone prima di tutto l’esigenza che il sistema giudiziario non sia gravato dalla duplicazione dell’attività di cognizione nei due processi pendenti. Ma quando nel processo sulla causa pregiudicante la decisione è sopravvenuta, quello sulla causa pregiudicata è in grado di riprendere il suo corso, perché ormai il sistema giudiziario è in grado di pervenire al giudizio sulla causa pregiudicata fondandolo sull’accertamento che sulla questione comune alle due cause si è potuto raggiungere nell’altro processo tra le stesse parti, attraverso l’esercizio della giurisdizione. Non dipende più da esigenze di ordine logico che il processo sulla causa dipendente resti sospeso. La duplice connessa circostanza che la decisione del primo giudice giustifichi a questo punto il passaggio alla sua esecuzione coattiva se pur provvisoria e il correlativo progressivo restringersi degli elementi di novità suscettibili di essere introdotti nel giudizio di impugnazione consente di ritenere che l’ordinamento si appaghi ora in linea generale del risparmio di attività istruttoria e preferisca all’attesa del giudicato la possibilità che il processo sulla causa dipendente riprenda assumendo a suo fondamento la decisione, ancorchè suscettibile di impugnazione, che si è avuta sulla causa pregiudicante, perchè, come si è detto, essendo il risultato di un accertamento in contraddittorio e provenendo dal giudice, giustifica la presunzione di conformità a diritto. L’istituto della sospensione necessaria ha così esaurito i suoi effetti. Il rapporto di dipendenza tra le cause però resta e se la controversia si riaccende nei gradi di impugnazione, spetterà ora alla valutazione del giudice della causa dipendente decidere se mantenere in stato di sospensione il processo di cui una delle parti abbia sollecitato la ripresa. E la valutazione andrà fatta sulla base della plausibile controvertibilità che il confronto tra la decisione intervenuta e la critica che ne è stata svolta abbia fatto emergere».
25. Cass. Civ., SS.UU., 19/06/2012, n. 10027, già citata alla nota che precede, che enunzia il seguente principio di diritto: «la circostanza che la sospensione sia stata ordinata sul fondamento della disposizione dettata dall’art. 295 c.p.c., quando, in ipotesi avrebbe potuto esserlo in base all’art. 337 c.p.c., comma 2, non incide sulla ammissibilità del ricorso inteso a far dire erroneamente applicato l’art. 295, potendo se mai condizionare l’esercizio dei poteri della Corte nella decisione sul fondo del ricorso. Sul punto, peraltro, la giurisprudenza della Corte, a partire da Cass. 28.7.2005 n. 15794, cui ha fatto seguito Cass. 4.7.2007 n. 15111, è nel senso che, quando sia constatata l’erronea applicazione dell’art. 295, lo scrutinio del fondo del ricorso per regolamento si debba arrestare, restando al giudice del merito di tornare a valutare se la sospensione non possa essere ordinata in base ai presupposti indicati dall’art. 337, comma 2».
26. Cass. Civ., Sez. III, 28/07/2005, n. 15794, secondo la quale «è impugnabile con regolamento di competenza il provvedimento di sospensione del processo disposto sull’erroneo presupposto della sussistenza di un rapporto di pregiudizialità con altro giudizio nel mentre, in relazione all’art. 337, comma 2, c.p.c., sarebbero potute sussistere, eventualmente, le condizioni per pervenire all’emanazione di un provvedimento di sospensione facoltativa, con la conseguenza che, in mancanza di adeguata motivazione sulle ragioni di opportunità che avrebbero potuto legittimare tale tipo di sospensione, il relativo provvedimento è da annullare, con correlata assegnazione di un termine per la riassunzione del giudizio, rimanendo salva la possibilità di adozione, per il giudice di merito, di un nuovo e motivato provvedimento di sospensione riconducibile all’esercizio del potere discrezionale riconosciutogli dal citato art. 337 c.p.c.» (enfasi nel testo aggiunta).