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Premessa
Nell’ordinamento processuale si rivengono numerose tipologie di sospensione del processo essenzialmente accomunate dalla circostanza che un determinato evento, a volte interno al processo stesso, a volte esterno ad esso, ne influenza il corso, determinandone la quiescenza.
Si tratta, come è agevole rilevare, di ipotesi con notevole ricaduta pratica sui destini del giudizio, soprattutto nei casi in cui esso ebba a rimanere in quiescenza presumibilmente per lungo tempo (come accade, ad esempio, nel caso della sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. che qui verrà espressamente presa in considerazione), senza che, durante tale periodo, possano essere compiute attività di sorta (v. art. 298, 1° co., c.p.c., il quale prevede che «durante la sospensione non possono essere compiuti atti del procedimento»).
E’ sembrato, così, opportuno dedicare un breve intervento a tali fattispecie con particolare riferimento a quelle, alquanto problematiche, della sospensione necessaria e facoltativa del procedimento, tentando quantomeno di abbozzarne i tratti generali e concentrandoci, poi, sull’argomento, non meno rilevante, dei rimedi impugnatori apprestati nei confronti dei provvedimento di sospensione (tema sul quale si intratterrà la seconda parte del presente intervento programmata per la giornata di domani).
Breve esemplificazione casistica
Come si è appena premesso, in tesi generale il codice di rito individua numerose ipotesi di sospensione del processo.
Possono, così, anzitutto ricordarsi i casi in cui la sospensione dipende da attività svolte in giudizio da una delle parti (v., ad es., l’art. 48 c.p.c., nel caso della proposizione del regolamento di competenza, l’art. 52, 3° co., c.p.c. nel caso della ricusazione del giudice e l’art. 420-bis c.p.c. nel caso di ricorso per cassazione avverso la sentenza del giudice del lavoro che decide una questione concernente l’efficacia, la validità o l’interpretazione delle clausole di un contratto o accordo collettivo nazionale), ovvero dall’inattività delle medesime rispetto all’attuazione di determinati oneri (v., ad es., l’art. 332 c.p.c. nel caso di mancata integrazione del contraddittorio nelle impugnazioni relative a causa scindibili).
Ci sono, poi, le ipotesi in cui la sospensione deriva ope legis dal verificarsi di determinate precondizioni (v., ad es., oltre ad alcune delle ipotesi appena descritte, lo stesso art. 295 c.p.c. qui in esame, che regola la sospensione – appunto – necessaria del processo e l’art. 75, 3° co., c.p.p. che regola la sospensione del giudizio civile nell’ipotesi di azione proposta contro l’imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado).1
Ed esistono, ancora, fattispecie in cui è il giudice a valutare l’eventualità di adottare un provvedimento di sospensione, tra cui rientra l’art. 337, 2° co, c.p.c. qui in esame, concernente la sospensione – appunto – facoltativa, nonché i casi presi in considerazione, ad es., dall’art. 279, 4° co., per l’ipotesi di impugnazione avverso sentenza parziale e dall’art. 296 che regola il caso della sospensione concordemente richiesta dalle parti. Ancora rientrano in tale categoria le fattispecie di cui all’art. 398, ult. co., c.p.c. nell’ipotesi di proposizione del giudizio di revocazione, e quelle di cui all’art. 129-bis e 133-bis disp. att. c.p.c. per il caso di sospensione dell’istruzione in ipotesi di sentenza d’appello che abbia riformato una pregressa sentenza parziale o di impugnazione immediata per cassazione avverso tale sentenza.
Meritano, infine, menzione due ulteriori casi di sospensione del processo derivanti dallo stato di incertezza giuridica in cui si viene a trovare il procedimento pregiudicato a causa dell’esistenza di un dubbio sulla legittimità costituzionale di una o più norme ivi invocate (ex art. 23, 2° co, l. 11/03/1953, n. 87), ovvero si renda necessaria accertarne la conformità a quello comunitario, procedendo al rinvio pregiudiziale interpretativo di cui all’art. 267 del Trattato di funzionamento dell’Unione Europea.
Sospensione necessaria e sospensione facoltativa del processo
In questo quadro, il presente contributo, come si è premesso, si concentrerà su due tra le specifiche ipotesi di sospensione dianzi esemplificate: la sospensione necessaria del processo ex art. 295 c.p.c., cit., secondo cui «il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa», e la sospensione facoltativa di esso ex art. 337, 2° co., c.p.c., che, dal canto suo, dispone che «quando l’autorità di una sentenza è invocata in un diverso processo, questo può essere sospeso se tale sentenza è impugnata».
In tali ipotesi, si riscontra la coesistenza di due distinti procedimenti giudiziari in rapporto di interferenza tra loro tale che la decisione di uno di essi (detto procedimento pregiudicante) riverbera, stante il nesso di dipendenza logico-giuridica2 sussistente tra i medesimi, effetti dirimenti su quella dell’altro (detto giudizio pregiudicato); e proprio in considerazione di tale rapporto il giudice, a seconda dei casi, dovrà (sospensione necessaria), ovvero potrà (sospensione facoltativa) disporre la sospensione del secondo in attesa degli sviluppi del primo.
In altre parole, dunque, come rilevato in giurisprudenza, il dato comune che caratterizza le fattispecie in questione e giustifica la sospensione è costituito dalla «rilevazione del rapporto di dipendenza che si effettua ponendo a raffronto gli elementi fondanti delle due cause, quella pregiudicante e quella in tesi pregiudicata»,3 la quale comporta «la necessità che i fatti siano conosciuti e giudicati secondo diritto nello stesso modo».4
Per completezza si osserva da ultimo che concetto ulteriore e distinto dall’ambito ora in esame è quello della sospensione che alcuni chiamano “discrezionale” del processo, ovvero una sospensione disposta per ragioni di mera opportunità, al di là dei confini tracciati dalle disposizioni appena indicate (e che si stanno per delineare meglio nel paragrafo che segue).
La possibilità di adottare un tale genere di provvedimento viene peraltro esclusa, giacché esso, ove ammessa,
«oltre che inconciliabile con il disfavore nei confronti del fenomeno sospensivo, sotteso alla riforma del citato art. 42 del codice di rito – si porrebbe in insanabile contrasto sia con il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) e della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.), sia con il canone della durata ragionevole, che la legge deve assicurare nel quadro del giusto processo ai sensi del nuovo art. 111 Cost.».5
Ambito di applicabilità dell’art. 295 e dell’art. 337, 2° co., c.p.c.
Detto ciò, altro e più complesso discorso è stabilire quale sia il confine tra l’ambito di applicabilità dell’una e dell’altra disposizione in discorso: art. 295 c.p.c. («il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa»), da un lato e art. 337, 2° co., c.p.c. («quando l’autorità di una sentenza è invocata in un diverso processo, questo può essere sospeso se tale sentenza è impugnata»), dall’altro.
Tale linea di demarcazione appare tracciata da un dato testuale che caratterizza la seconda delle norme appena citate, nel cui contesto l’elemento pregiudicante è costituito dall’«autorità di una sentenza» emessa in processo diverso da quello in cui tale «autorità» è invocata.
Ed è tale non felice espressione normativa – la quale pare evocare un concetto non perfettamente sovrapponibile a quello di giudicato – ad aver causato più di una riflessione in argomento, cui, tuttavia, non è possibile dare qui spazio stante l’esigenza di sintesi propria del presente contributo.
Ci si limita, dunque, a riportare le conclusioni cui si è pervenuti sul punto, essendosi infine chiarito che alla sospensione necessaria del giudizio pregiudicato ex art. 295 c.p.c si possa pervenire solo sintantoché nel giudizio pregiudicante non sia stata emessa una decisione.
Laddove, invece, una tale decisione sia stata emessa (e non sia, ovviamente passata in giudicato, giacché altrimenti a tale decisione occorrerebbe necessariamente attenersi) alla sospensione potrà (e non dovrà) provvedersi previa la valutazione prevista dall’art. 337, 2° co., c.p.c..
Il che non resta senza rilievo sotto il profilo della verifica della legittimità di siffatti provvedimenti, giacché nel caso di sospensione necessaria la sospensione discende automaticamente dal riscontro, da parte del giudice del procedimento pregiudicato, del nesso di pregiudizialità, mentre nel caso di sospensione facoltativa, il giudice, verificata l’esistenza di una decisione emessa nel giudizio pregiudicante la cui «autorità» venga invocata dinanzi a lui, ma che sia stata impugnata, dovrà dare adeguato conto nella motivazione del provvedimento di sospensione, da egli eventualmente adottato, delle ragioni per cui non intenda adeguarsi a tale «autorità».
Gli snodi logici tramite i quali si è pervenuti ad una tale conclusione sono contenuti nella già citata sentenza SS.UU. 10027/2012 e possono riassumersi come segue:
- caratteristiche essenziali della sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c., sono, oltre al rapporto di pregiudizialità-dipendenza tra causa pregiudicante e causa pregiudicata, anche lo «stato di incertezza in cui il giudizio su quei fatti versa, perché controversi tra le parti»;6
- tale stato di incertezza, dunque, è di per sé idoneo a determinare la sospensione necessaria al solo rilievo della sussistenza del nesso di pregiudizialità tra i due giudizi de quibus, in quanto ciò è imposto dall’«esigenza che il sistema giudiziario non sia gravato dalla duplicazione dell’attività di cognizione nei due processi pendenti»;7
- laddove, viceversa, tale incertezza venga meno, in quanto nel procedimento pregiudicante venga emessa sentenza, il giudice della causa pregiudicata «è in grado di pervenire al giudizio sulla causa pregiudicata fondandolo sull’accertamento che sulla questione comune alle due cause si è potuto raggiungere nell’altro processo tra le stesse parti, attraverso l’esercizio della giurisdizione», con la conseguenza che, in tale ipotesi «l’istituto della sospensione necessaria ha (…) esaurito i suoi effetti»;8
- se, tuttavia, lo stato di incertezza venga in qualche modo a riproporsi a causa dell’impugnazione interposta avverso il provvedimento emesso nel giudizio pregiudicante, allora spetterà al «giudice della causa dipendente decidere se mantenere in stato di sospensione il processo di cui una delle parti abbia sollecitato la ripresa. E tale valutazione andrà fatta sulla base della plausibile controvertibilità che il confronto tra la decisione intervenuta e la critica che ne è stata svolta abbia fatto emergere»9 con onere di adeguata motivazione sul punto.
Rimedi avverso i provvedimenti assunti ex art. 295 o 337, 2° co., c.p.c.
Segue alla parte seconda dell’articolo pubblicata il 05/02/2020.
Note al testo
1. Cui possono aggiungersi gli artt. 313 e 355 c.p.c. per il caso di querela di falso proposta davanti al G.d.P. o in appello, l’art. 367 c.p.c. per quanto concerne la sospensione del procedimento di merito in attesa della decisione in seguito alla proposizione del regolamento di giurisdizione, l’art. 443 c.p.c. nel caso della sospensione del giudizio previdenziale improcedibile per la ragione ivi presa in considerazione. Sempre nella medesima categoria sembrerebbe potersi inquadrare la sospensione disposta dal capo dell’ufficio giudiziario ove pende la causa di merito interessata da una questione di giurisdizione sollevata dal Prefetto a mente degli artt. 368 c.p.c. 4 41, 2° co., c.p.c.
2. Concetto da intendersi, quantomeno per ciò che attiene la sospensione necessaria, in senso tecnico, non essendo sufficiente una pregiudizialità meramente logica, come deciso da Cass. Civ., Sez. Lav., 03/05/2007, n. 10185, secondo cui «poiché l’art. 295 c.p.c., la cui ragione fondante è quella di evitare il rischio di un conflitto tra giudicati, fa esclusivo riferimento all’ipotesi in cui fra due cause pendenti davanti allo stesso giudice o a due giudici diversi esista un nesso di pregiudizialità in senso tecnico – giuridico e non già in senso meramente logico, la sospensione necessaria del processo non può essere disposta nell’ipotesi di contemporanea pendenza davanti a due giudici diversi del giudizio sull’an debeatur e di quello sul quantum, fra i quali esiste un rapporto di pregiudizialità solamente in senso logico, essendo in tal caso applicabile l’art. 337, comma 2, c.p.c., il quale, in caso di impugnazione di una sentenza la cui autorità sia stata invocata in un separato processo, prevede soltanto la possibilità della sospensione facoltativa di tale processo, e tenuto conto altresì del fatto che, a norma dell’art. 336, comma 2, c.p.c., la riforma o la cassazione della sentenza sull’an debeatur determina l’automatica caducazione della sentenza sul quantum anche se su quest’ultima si sia formato un giudicato apparente, con conseguente esclusione del conflitto di giudicati. (Nella specie, la S.C. ha cassato l’ordinanza con la quale il tribunale aveva disposto la sospensione del procedimento in opposizione a decreto ingiuntivo relativo al risarcimento del danno da licenziamento dichiarato illegittimo, a causa della pendenza, in appello, tra le stesse parti, del giudizio sulla impugnativa del licenziamento)».
3. Così Cass. Civ., SS.UU., 19/06/2012, n. 10027, che enunzia il seguente principio di diritto: «fuori dei casi in cui sia espressamente disposto che un giudizio debba rimanere sospeso sino a che un altro da cui dipenda sia definito con decisione passata in giudicato, intervenuta nel primo decisione in primo grado, il secondo di cui sia stata in quel grado ordinata la sospensione può essere ripreso dalla parte che vi abbia interesse entro il termine dal passaggio in giudicato della detta decisione stabilito dall’art. 297 c.p.c.. Definito il primo giudizio senza che nel secondo la sospensione sia stata disposta o ripreso il secondo giudizio dopo che il primo sia stato definito, la sospensione del secondo può solo essere pronunziata sulla base dell’art. 337 c.p.c., comma 2, dal giudice che ritenga di non poggiarsi sull’autorità della decisione pronunziata nel primo giudizio».
4. Ibidem.
5. Così Cass. Civ., Sez. VI , 20/03/2017 , n. 7069, la cui massima recita «nel quadro della disciplina di cui all’art. 42 c.p.c. – come novellato dalla legge 26 novembre 1990 n. 353 – non vi è più spazio per una discrezionale, e non sindacabile, facoltà di sospensione del processo, esercitabile dal giudice al di fuori dei casi tassativi di sospensione legale: ove ammessa, infatti, una tale facoltà oltre che inconciliabile con il disfavore nei confronti del fenomeno sospensivo, sotteso alla riforma del citato art. 42 del codice di rito – si porrebbe in insanabile contrasto sia con il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) e della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.), sia con il canone della durata ragionevole, che la legge deve assicurare nel quadro del giusto processo ai sensi del nuovo art. 111 Cost.»
6. Così Cass. Civ., SS.UU., 19/06/2012, n. 10027, citata alla nota 3.
7. Ibidem.
8. Ibidem.
9. Ibidem.