Commette falso ideologico in certificati l’avvocato che autentica falsamente la procura Cass. Pen., Sez. V, 08/01/2021, n. 6348

By | 14/05/2021

CASS. PEN., SEZ. V, 08/01/2021, N. 6348

«Integra il reato di falso ideologico in certificati commesso da persona esercente un servizio di pubblica necessità (nella specie avvocato, art. 481 c.p.), la falsa attestazione dell’autenticità della sottoscrizione della procura “ad litem”» (Massima non ufficiale)

RITENUTO IN FATTO

1. Con la decisione in epigrafe, la Corte d’Appello di [Omissis] ha confermato la sentenza emessa il 16.6.2016 dal Tribunale di [Omissis], con cui [Omissis] è stato condannato alla pena di 230 Euro di multa, oltre al risarcimento del danno alla parte civile costituita, per il reato di cui all’art. 481 c.p. commesso in qualità di avvocato attestando l’autenticità delle firme invece apocrife di [Omissis] e [Omissis], apposte a margine dell’atto di citazione per impugnativa di Delib. assembleare ex art. 1137 c.c. indirizzato al Tribunale di [Omissis] in data [Omissis], sottoscritto invece autenticamente solo da [Omissis], coerede insieme agli altri due fratelli dell’immobile al centro della causa civilistica.

2. Ricorre l’imputato avverso la pronuncia d’appello tramite il difensore, avv. [Omissis], deducendo tre motivi.

2.1. Il primo argomento di censura eccepisce violazione di norme processuali stabilite a pena di nullità, avuto riguardo agli artt. 178 e 179 c.p.p., per non essere stato notificato all’imputato, elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia, il decreto di citazione a giudizio di primo grado, notificato via “pec”, invece, soltanto al legale “in proprio” e senza indicazione alcuna della valenza di tale notifica anche per la posizione dell’imputato.

La Corte d’Appello ha respinto analoga censura proposta con l’atto di impugnazione di merito, adducendo il criterio interpretativo del cd. “pregiudizio effettivo”, risalente all’orientamento delle Sezioni Unite come interpretato dalla sentenza n. 119 del 2005, e motivando circa la natura non assoluta della nullità dedotta e la sua conseguente intempestività, essendo stata eccepita soltanto con l’atto di appello.

Il difensore rappresenta come non si sia tenuto conto del fatto che detta sentenza distingue l’ipotesi di nullità intermedia da quella di nullità assoluta, derivante da carenza ovvero totale omissione della citazione, che deve ritenersi integrata anche quando la notificazione della citazione, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte dell’imputato. Quando dunque alcuna notifica sia mai stata eseguita, neppure in forma irregolare, non può farsi luogo alla tesi del cd. pregiudizio effettivo né può essere applicato lo statuto delle nullità intermedie. Nel caso di specie è mancata del tutto la notifica della citazione rivolta all’imputato, né può far luogo quella indirizzata in proprio al difensore, non legittimato espressamente a ricevere un unico atto.

2.2. Il secondo argomento di censura attinge la motivazione del provvedimento impugnato, ritenuta carente e manifestamente illogica e contraddittoria quanto all’individuazione del dolo di fattispecie – valutato come dolo eventuale – essendo emerso invece un atteggiamento soltanto colposo del ricorrente nel commettere la condotta contestata.

Nonostante i più recenti approdi in tema di dolo eventuale, infatti, abbiano superato la teoria dell’accettazione del rischio (si cita Sez. U, n. 38343 del 2014), la Corte d’Appello ha basato le sue affermazioni circa la sussistenza del coefficiente psicologico proprio fondando su tale canone logico il suo giudizio e ritenendo che l’imputato abbia, appunto, accettato il rischio della falsità delle firme in quanto non apposte in sua presenza.

Nessuno spazio di verifica è stato dedicato ai criteri indicati dalle Sezioni Unite, nella sentenza del 2014 citata, per la configurabilità del dolo eventuale, né si è valutata la mancanza di interesse alcuno del ricorrente a commettere il reato, visto che egli avrebbe potuto esperire l’azione civile contro il condominio anche con il mandato di uno solo dei comproprietari dell’immobile, non vertendosi in un’ipotesi di litisconsorzio necessario.

2.3. Il terzo motivo di ricorso, infine, deduce violazione di legge nonché vizio di motivazione omessa, manifestamente illogica e contraddittoria avuto riguardo alla mancata applicazione dell’art. 131-bis c.p., negato al ricorrente dalla Corte d’Appello facendo leva sul criterio della mancanza di giustificazione per la sua condotta integrante reato, che è del tutto avulso dal portato normativo e non tenendo conto delle indagini difensive e della documentazione prodotta dal ricorrente per provare la sua buona fede e il grado minimo di offensività del suo agire.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è complessivamente infondato e deve essere rigettato.

2. Il primo motivo è privo di pregio poiché manifestamente infondato e generico.

Il Collegio, tenuto conto della natura processuale del vizio denunciato, ha preso visione degli atti e rileva che nella documentazione di indirizzo della citazione a giudizio vi è espressamente indicato che la notifica viene effettuata al difensore dell’imputato “in proprio e domicilio dichiarato”, con ciò volendo chiaramente intendere che la notifica si indirizza anche all’imputato, domiciliato presso il difensore, come risulta nell’intestazione dell’atto di citazione a giudizio.

Orbene, non può ritenersi che si sia verificata una nullità di ordine assoluto nel caso di specie, in adesione al principio sancito dalle Sezioni Unite, con la pronuncia Sez. U, n. 119 del 27/10/2004, dep. 2005, Palumbo, Rv. 229539, secondo cui, in tema di notificazione della citazione dell’imputato, la nullità assoluta e insanabile prevista dall’art. 179 c.p.p. ricorre soltanto nel caso in cui la notificazione della citazione sia stata omessa o quando, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte dell’imputato; la medesima nullità non ricorre invece nei casi in cui vi sia stata esclusivamente la violazione delle regole sulle modalità di esecuzione, alla quale consegue la applicabilità della sanatoria di cui all’art. 184 c.p.p.

Nel caso del ricorrente, la notifica è stata regolarmente effettuata presso il domicilio eletto, quello del difensore nominato, e con l’indicazione espressa, per quel che consta dall’atto di spedizione della citazione da parte dell’ufficio, che l’unica copia consegnata lo era anche come “domicilio dichiarato”, condizione, quella dell’elezione di domicilio, ben nota al difensore e neppure contestata.

E, avuto riguardo a tale specifica ipotesi, il Collegio rammenta come questa Corte regolatrice abbia già affermato che la notificazione ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4, mediante consegna al difensore di un’unica copia dell’atto da notificare dà luogo ad una mera irregolarità, non produttiva di nullità, qualora risulti esplicitato, o sia comunque desumibile dall’atto, che la notificazione stessa è stata eseguita al medesimo sia in proprio che nella veste di consegnatario (Sez. 2, n. 19277 del 13/4/2017, La Marra, Rv. 269916, in una fattispecie relativa ad un decreto di citazione a giudizio in primo grado notificato al difensore di fiducia dell’imputato mediante consegna di una sola copia “nella qualità”, in cui la Corte ha ritenuto che detta locuzione – da intendersi riferita all’esecuzione della notifica ex art. 161, comma 4, cit., poiché l’imputato si era trasferito dal domicilio dichiarato – non avesse comunque impedito anche al professionista “in proprio” di conoscere la data del processo; cfr. anche, in senso conforme, Sez. 1, n. 14012 del 07/03/2008, Petrisor, Rv. 240138; Sez. 2, n. 38058 del 18/7/2014, EI Hachmi, Rv. 260853 e, in un’analoga prospettiva, Sez. 2, n. 8887 del 17/1/2019, Sabattini, Rv. 276528; Sez. 1, n. 12309 del 29/1/2018, Viggiani, Rv. 272313).

In ogni caso, ed in senso risolutivo per l’inammissibilità dell’eccezione difensiva, deve rilevarsi che il ricorso non esplicita in alcun modo quale sia stato il pregiudizio effettivo derivato al ricorrente dalla mancata notifica della citazione in modo “regolare”, e cioè con doppia copia consegnata al difensore in quanto tale e quale domiciliatario dell’imputato, tanto più che, nel caso del ricorrente, egli ha avuto regolarmente modo di accedere al rito abbreviato, dopo la notifica della citazione, che – come noto – richiede il coinvolgimento diretto dell’interessato per la sua richiesta (di persona o tramite conferimento di procura speciale).

Ed invece, secondo un orientamento interpretativo che si intende ribadire nel caso di specie, è inammissibile, per difetto di specificità del motivo, il ricorso per cassazione con cui si deduce la nullità della notifica di un atto in ragione della sua effettuazione presso il difensore di fiducia e non al domicilio dichiarato dall’imputato, ovvero presso il difensore in mancanza di elezione di domicilio, ove il ricorrente non abbia indicato il concreto pregiudizio derivato in ordine alla conoscenza dell’atto stesso e all’esercizio del diritto di difesa (Sez. 6, n. 28971 del 21/5/2013, Fanciullo, Rv. 255629; Sez. 6, n. 24741 del 4/1/2018, Micci, Rv. 273101).

Ed effettivamente tale logica valutativa corrisponde all’insegnamento delle Sezioni Unite Palumbo, evocato anche dal provvedimento impugnato, e contestato dal ricorrente, che, con la citata sentenza, hanno disegnato quella linea interpretativa in sintesi descritta da giurisprudenza e dottrina, come criterio del “pregiudizio effettivo” subito dalla parte che eccepisce una nullità, finalizzato alla verifica della sua deducibilità e ispirato dalla finalità di impedire abusi del processo.

2. Il secondo motivo è infondato.

Il ricorrente lamenta l’erronea prospettiva con cui è stata verificata la sussistenza del dolo del reato, ritenuto di natura “eventuale” tuttavia attraverso una logica argomentativa superata dai più recenti approdi sul tema ai quali sono pervenute le Sezioni Unite.

In effetti, in motivazione è stato fatto riferimento al criterio cd. dell’accettazione del rischio per la valutazione della configurabilità del dolo eventuale, che costituisce approdo ermeneutico oggi ritenuto non più sufficiente ad orientare l’accertamento della tipologia di coefficiente psicologico in esame.

A partire dalle Sezioni Unite n. 38343 del 24/4/2014, Espenhahn, Rv. 261105, infatti, si è sostenuta la netta cesura tra colpa e dolo eventuale, battendo molto sulla necessità, al fine di ritenere configurabile il secondo tra i due coefficienti soggettivi, che vi sia prova del fatto che l’autore della condotta si sia confrontato realmente con l’evento verificatosi nel caso concreto, aderendo psicologicamente ad esso, conferendo al momento volontaristico – anche nel dolo eventuale – un ruolo centrale e fondamentale, superando in tal modo la teoria della semplice “accettazione del rischio”, intesa come una generica situazione di rischio: l’accettazione deve riferirsi ad un evento definito e concreto che deve essere stato ponderato dall’autore del reato come costo “accettato” dell’azione realizzata per conseguire il fine perseguito.

Nell’ottica delle Sezioni Unite, invero, l’adesione all’evento sostituisce, dunque, la tradizionale espressione dell’accettazione del rischio e ciò implica non una mera evoluzione lessicale e non soltanto un mutamento di una prospettiva dogmatica, ma una presa di coscienza nuova circa i canoni ermeneutici ai quali fare riferimento nell’indagine sul dolo eventuale, che non poteva continuare ad esistere come ipotesi claudicante di dolo, o evanescente e insidiosa propaggine della colpa (cosciente), ma doveva riprendere la scena volontaristica per riespandere la valenza definitoria del coefficiente soggettivo doloso di attribuzione della responsabilità e ridare alla relazione essenziale tra volontà e causazione dell’evento, voluta dall’art. 43 c.p., quella forza di canone essenziale e definitivo nella configurazione di qualsiasi forma di dolo.

Il percorso tracciato con tale obiettivo dalle Sezioni Unite si è manifestato attraverso l’individuazione di una serie di indicatori, che aiutano l’interprete nella non semplice analisi dell’elemento volontaristico del reato: a) la lontananza della condotta tenuta da quella doverosa; b) la personalità e le pregresse esperienze dell’agente; c) la durata e la ripetizione dell’azione; d) il comportamento successivo al fatto; e) il fine della condotta e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali; f) la probabilità di verificazione dell’evento; g) le conseguenze negative anche per l’autore in caso di sua verificazione; h) il contesto lecito o illecito in cui si è svolta l’azione nonché la possibilità di ritenere, alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, che l’agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell’evento (cosiddetta prima formula di Frank).

Ebbene, nel caso del ricorrente, la Corte d’Appello ha fatto ricorso a tutta una serie di indicatori della consapevolezza della falsità delle firme da parte del legale imputato; tra questi: la consapevolezza del disaccordo tra i coeredi sulla divisione; l’insussistenza di qualsiasi rapporto professionale tra i fratelli P. e l’imputato, che era il professionista contattato soltanto dalla loro sorella C. e che non si è mai preoccupato di contattare gli altri due soggetti dei quali pure attestava l’autenticità della firma in calce al mandato; la somiglianza notevole delle firme apposte falsamente.

Non ci si è limitati, dunque, ad una mera condivisione di una formula stereotipata e superata attributiva dell’elemento soggettivo del reato, ma si è riempito di contenuto il percorso di verifica dell’adesione dell’imputato all’evento eventuale poi effettivamente verificatosi: la non autenticità delle sottoscrizioni apposte a margine dell’atto di citazione giudiziale in sede civile.

Ed integra il reato di falso ideologico in certificati commesso da persona esercente un servizio di pubblica necessità (nella specie avvocato, art. 481 c.p.), la falsa attestazione dell’autenticità della sottoscrizione della procura “ad litem” (Sez. 5, n. 15556 del 9/3/2011, Bruzzese, Rv. 250181; Sez. 5, n. 9578 del 19/1/2006, Piras, Rv. 234229; Sez. 5, n. 22496 del 28/04/2005, Benvestito, Rv. 231563-01; Sez. 2, n. 3135 del 26/11/2002, dep. 2003, Quattrone, Rv. 223829-01); cfr., in motivazione, anche Sez. 5, n. 18657 del 3/3/2017, Recchi, Rv. 269622 che ha anche precisato come la falsa sottoscrizione di una procura ad litem configuri invece il reato di falso in scrittura privata (art. 485 c.p.) ormai depenalizzato; in tema, cfr. anche Sez. 5, n. 45451 del 18/10/2019, Cutrone, Rv. 277425).

3. Il terzo motivo è manifestamente infondato.

La Corte d’Appello ha ritenuto non configurabile un’ipotesi di particolare tenuità del fatto sulla base non soltanto delle ragioni contestate dal ricorrente (e cioè l’assenza di giustificazione alcuna al comportamento delittuoso), ma anche tenendo conto di ulteriori motivazioni, che fanno leva sulle modalità della condotta e sul pericolo per la fede pubblica ravvisato nel caso di specie, entrambi valutati non esigui.

Del resto, questa Sezione, con la richiamata pronuncia Sez. 5, n. 45451 del 18/10/2019, Cutrone, Rv. 277425, ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, art. 1 nella parte in cui non prevede, fra i reati da depenalizzare, quello di cui all’art. 481 c.p., in relazione agli artt. 25 e 76 Cost., in quanto il criterio direttivo di cui alla della legge delega 28 aprile 2014, n. 67, art. 2, comma 3, lett. a), n. 1 ha inteso escludere dalle fattispecie da depenalizzare quelle ipotesi di falsità che non rispondono ad interessi meramente privati fra le quali è annoverabile il delitto in questione, ed in relazione all’art. 3 Cost., in quanto non sussiste alcuna disparità di trattamento, per la diversità delle situazioni oggetto di tutela, rispetto all’avvenuta depenalizzazione dell’art. 485 c.p.

Tale condivisibile valutazione, sebbene non escluda a priori che, in alcune ipotesi possano esservi le condizioni affinché venga operata una valutazione di meritevolezza della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis c.p., impone senza dubbio all’interprete di operare una seria considerazione degli interessi in gioco tutelati dal legislatore rispetto a condotte che violino la fede pubblica con un’offensività potenziata dalla prospettiva del coinvolgimento di interessi non meramente privati.

Nel caso di specie, a bilanciare un agire senza dubbio deliberato e chiaramente contrario ai doveri professionali, pertanto di non poco conto dal punto di vista del piano lesivo della condotta, non intervengono adeguate, differenti ragioni di segno contrario, così come puntualizzato dal provvedimento impugnato senza cadute logiche.

4. Al rigetto del ricorso segue anche la condanna del ricorrente alle spese processuali ed alla rifusione di quelle sostenute dalla parte civile, che è intervenuta in udienza ed ha depositato note conclusive.

Del resto, i delitti contro la fede pubblica tutelano direttamente non solo l’interesse pubblico alla genuinità materiale e alla veridicità ideologica di determinati atti, ma anche quello del soggetto privato sulla cui sfera giuridica l’atto sia destinato a incidere concretamente, con la conseguenza che egli, in tal caso, riveste la qualità di persona offesa dal reato (Sez. 5, n. 2076 del 5/12/2008, dep. 2009, Serafini, Rv. 242631 che ha affermato il principio proprio in un’ipotesi di parte civile costituita in relazione al delitto di falso ex art. 481 c.p.).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile per il presente giudizio, che liquida in Euro 3.510, oltre accessori di legge.

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