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La Sezione lavoro ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione della causa alle Sezioni Unite in ordine alla risoluzione del potenziale contrasto con l’interpretazione resa dalla medesima Sezione con la sentenza n. 3177 del 2019 in ordine all’inquadramento del collaboratore fisso che svolga attività giornalistica in modo esclusivo, ai fini dell’iscrizione nell’elenco dei giornalisti, con conseguente nullità del contratto in caso di iscrizione al solo elenco dei pubblicisti.
La vexata quaestio
La Corte territoriale, nel premettere come la Dott.ssa O. fosse giornalista pubblicista dal 1993 e fosse iscritta nell’elenco professionisti dell’albo dei giornalisti dal gennaio 2010 ha confermato la pronuncia di primo grado quanto alla natura subordinata del rapporto di lavoro giornalistico della predetta e alla qualifica di collaboratore fisso, ai sensi dell’art. 2 del c.n.l.g., ma ha dichiarato nullo il rapporto di lavoro subordinato per la mancata iscrizione della sig.ra O. nell’elenco professionisti dell’albo, in base alla L. n. 69 del 1963, art. 45.
La Corte ha in particolare sottolineato, come la stessa, nel chiedere il riconoscimento del rapporto ai sensi dell’art. 2 c.n.l.g. avesse dedotto
“necessariamente di aver lavorato con i requisiti del giornalista professionista subordinato (sono professionisti coloro che esercitano in modo esclusivo e continuativo la professione di giornalista)“;
ed ha riconosciuto alla sig.ra O., ai sensi dell’art. 2126 C.C., il trattamento economico e previdenziale riferito al periodo di esecuzione del rapporto nullo, ma ha escluso l’esistenza di un diritto della medesima di continuare a rendere la prestazione o di pretenderne lo svolgimento. La Corte ha inoltre rilevato come l’iscrizione nell’elenco dei professionisti fosse intervenuta (gennaio 2010) quando il rapporto di lavoro era già cessato (31.10.2008) e che, comunque, l’iscrizione in corso di rapporto non sarebbe servita a sanare la nullità dello stesso.
Per la cassazione della sentenza la dr.ssa O. ha proposto ricorso, cui ha resistito con controricorso la società datoriale.
Nello specifico, col primo motivo di ricorso la lavoratrice ha censurato la sentenza, ai sensi dell’art. 360 C.P.C, comma 1, n. 3, denunciando la violazione e falsa applicazione della L. n. 69 del 1963, artt. 1 e 45 e dell’art. 2 c.n.l.g., in relazione al D.P.R. n. 153 del 1961.
A suo dire, la possibilità che un giornalista pubblicista svolga attività giornalistica in regime di subordinazione è espressamente prevista dalla legge. La L. n. 416 del 1981, art. 38, modificato dalla L. n. 388 del 2000, art. 76, comma 1, contempla la figura del giornalista pubblicista che sia titolare di un rapporto di lavoro subordinato di natura giornalistica e che come tale ha diritto di iscrizione all’Inpgi; ha sottolineato come la contrattazione collettiva (art. 5 c.n.l.g.) elenchi i ruoli per i quali è indispensabile la qualifica di giornalista professionista, dovendosi ritenere che per quelli non menzionati (come il collaboratore fisso) sia sufficiente l’iscrizione nell’elenco dei pubblicisti;
La ricorrente ha, inoltre, sostenuto come, ai sensi della L. n. 69 del 1963, art. 1,
la figura del giornalista pubblicista si differenzi da quella del giornalista professionista in ragione della esclusività della prestazione, non richiesta per il primo (“sono pubblicisti coloro che svolgono attività giornalistica non occasionale e retribuita, anche se esercitano altre professioni”) e indispensabile per il secondo (“sono professionisti coloro che esercitano in modo esclusivo e continuativo la professione di giornalista”) e come la contrattazione collettiva delinei la figura dei collaboratori fissi (“che non diano opera giornalistica quotidiana purchè sussistano continuità della prestazione, vincolo di dipendenza e responsabilità di un servizio”) in modo sovrapponibile a quella del giornalista pubblicista;
aggiungendo che la L. n. 69 del 1963, art. 45, preclude l’esercizio dell’attività giornalistica a chi “non è iscritto all’albo professionale” senza distinguere tra i due elenchi che compongono l’albo medesimo, dal che si desume che debbano esistere attività giornalistiche legittime anche per i pubblicisti, tra cui appunto quella di collaboratore fisso, come confermato dai precedenti di legittimità, sentenze n. 3037/2011 e n. 11065/2014. Ha, quindi, definito erronea la conclusione, cui è pervenuta la sentenza impugnata, di impossibilità per un giornalista pubblicista di svolgere una prestazione di lavoro subordinato di carattere giornalistico, anche quale collaboratore fisso.
La rimessione alle Sezioni Unite. In attesa della pronuncia …
La questione giuridica posta dal primo motivo di ricorso è la seguente:
se, ai fini di un valido rapporto di lavoro subordinato giornalistico quale collaboratore fisso, sia necessaria l’iscrizione nell’elenco professionisti dell’albo dei giornalisti, oppure sia sufficiente l’iscrizione nell’elenco pubblicisti del predetto albo;
Il lavoro giornalistico è disciplinato dalla L. n. 69 del 1963 (Ordinamento della professione di giornalista) che all’art. 1, intitolato “Ordine dei giornalisti”, stabilisce:
“E’ istituito l’Ordine dei giornalisti. Ad esso appartengono i giornalisti professionisti e i pubblicisti, iscritti nei rispettivi elenchi dell’albo. Sono professionisti coloro che esercitano in modo esclusivo e continuativo la professione di giornalista. Sono pubblicisti coloro che svolgono attività giornalistica non occasionale e retribuita anche se esercitano altre professioni o impieghi”;
L’art. 26 della stessa legge, il cui titolo recita “Albo”, prevede:
“Presso ogni Consiglio dell’Ordine regionale o interregionale e delle province autonome è istituito l’albo dei giornalisti che hanno la loro residenza o il loro domicilio professionale, nel territorio compreso nella circoscrizione del Consiglio. L’albo è ripartito in due elenchi, l’uno dei professionisti l’altro dei pubblicisti. I giornalisti che abbiano la loro abituale residenza fuori del territorio della Repubblica sono iscritti nell’albo di Roma”;
Ai sensi dell’art. 45, la cui rubrica è relativa a “Esercizio della professione”, nel testo anteriore alle modifiche apportate con la L. n. 198 del 2016, art. 5:
“Nessuno può assumere il titolo nè esercitare la professione di giornalista, se non è iscritto nell’albo professionale. La violazione di tale disposizione è punita a norma degli artt. 348 e 498 c.p., ove il fatto non costituisca un reato più grave“;
Per effetto della L. n. 198 del 2016, l’art. 45 citato è stato sostituto dal seguente:
“Nessuno può assumere il titolo nè esercitare la professione di giornalista, se non è iscritto nell’elenco dei professionisti ovvero in quello dei pubblicisti dell’albo istituito presso l’Ordine regionale o interregionale competente. La violazione della disposizione del primo periodo è punita a norma degli artt. 348 e 498 c.p., ove il fatto non costituisca un reato più grave”;
Il contratto collettivo nazionale di lavoro giornalistico (sia il c.n.l.g. del 1959, reso efficace erga omnes con D.P.R. n. 153 del 1961 e sia i contratti collettivi che si sono succeduti, in particolare i c.c.n.l. 1.10.95, 30.9.99, 1.3.01, 28.2.05, 1.4.09, 31.2.13) all’art. 1 così definisce il proprio ambito di applicazione:
“Il presente contratto regola il rapporto di lavoro fra gli editori di quotidiani, di periodici, le agenzie di informazioni quotidiane per la stampa, anche elettronici, l’emittenza radiotelevisiva privata di ambito nazionale e gli uffici stampa comunque collegati ad aziende editoriali, ed i giornalisti che prestano attività giornalistica quotidiana con carattere di continuità e con vincolo di dipendenza anche se svolgono all’estero la loro attività”;
Ai sensi dell’art. 2 (Collaboratore fisso),
“Le norme del presente contratto si applicano anche ai collaboratori fissi, cioè ai giornalisti addetti ai quotidiani, alle agenzie di informazioni quotidiane per la stampa, ai periodici, alle emittenti radiotelevisive private e agli uffici stampa comunque collegati ad aziende editoriali, che non diano opera giornalistica quotidiana purchè sussistano continuità di prestazione, vincolo di dipendenza e responsabilità di un servizio.
Agli effetti di cui al comma precedente sussiste:
– continuità di prestazione allorquando il collaboratore fisso, pur non dando opera quotidiana, assicuri, in conformità del mandato, una prestazione non occasionale, rivolta a soddisfare le esigenze formative o informative riguardanti uno specifico settore di sua competenza;
– vincolo di dipendenza allorquando l’impegno del collaboratore fisso di porre a disposizione la propria opera non venga meno tra una prestazione e l’altra in relazione agli obblighi degli orari, legati alla specifica prestazione e alle esigenze di produzione, e di circostanza derivanti dal mandato conferitogli;
– responsabilità di un servizio allorquando al predetto collaboratore fisso sia affidato l’impegno di redigere normalmente e con carattere di continuità articoli su specifici argomenti o compilare rubriche…”;
La Sezione Lavoro di questa Corte ha interpretato la L. n. 69 del 1963, art. 45, nel testo originario, ritenendo che per lo svolgimento della professione di giornalista fosse necessaria l’iscrizione nell’elenco professionisti dell’albo. In particolare, si è affermato con orientamento costante (cfr. per tutte, Cass. n. 27608 del 2006) che
“Il richiamato art. 45, proibisce, appunto, l’esercizio della “professione” di giornalista ai non iscritti all’albo professionale, e l’iscrizione non può che riferirsi all’elenco dei giornalisti professionisti. D’altra parte, il regime giuridico dei “pubblicisti” – che sono coloro che svolgono l’attività giornalistica non come professione, cioè senza – essere caratterizzati nel mercato del lavoro da un determinato status – è profondamente diverso da quello dei professionisti: ai sensi della L. n. 69 del 1963, art. 35, l’iscrizione nell’elenco dei pubblicisti dipende, non dal livello qualitativo degli articoli scritti, ma dal concorso di requisiti e condizioni previsti dalla norma indicata, mentre all’organo professionale non spetta alcuna valutazione discrezionale, neppure tecnica, sull’istanza dell’aspirante, ma il mero riscontro della sussistenza dei richiesti presupposti, essendo da escludere che detta iscrizione abbia la funzione di garantire il buon livello qualitativo della stampa, anche alla stregua delle sentenze della Corte costituzionale n. 11 e 98 del 1968 e n. 424 del 1989″
Con la conseguenza che l’attività di giornalista professionista espletata di fatto da soggetto non iscritto nell’elenco dei professionisti è sanzionata con la nullità del contratto (Cass. n. 5370 del 1998; n. 7020 del 2000; 12820 del 2002; n. 23472 del 2007; n. 21884 del 2016; n. 10158 del 2017);
Deve rilevarsi come il principio di diritto appena riportato è stato affermato unicamente in relazione all’esercizio dell’attività giornalistica di redattore. Si è sostenuto che
“Per l’esercizio dell’attività giornalistica di redattore ordinario è necessaria l’iscrizione nell’albo dei giornalisti professionisti, sicchè il contratto giornalistico concluso con un redattore ivi non iscritto è nullo non già per illiceità della causa o dell’oggetto, ma per violazione di norme imperative; ne consegue che, per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, detta nullità non produce effetti ex art. 2126 c.c., ed il lavoratore ha diritto, ai sensi dell’art. 36 Cost., alla giusta retribuzione, la cui determinazione spetta al giudice di merito” (cfr. Cass. n. 27608 del 2006; n. 23638 del 2010; n. 21884 del 2016; n. 10158 del 2017);
La Corte ha posto l’attenzione sulla circostanza che nessuno dei precedenti finora citati ha esaminato la questione della necessità di iscrizione nell’elenco professionisti dell’albo anche per il valido esercizio dell’attività giornalistica come collaboratore fisso.
Anzi, alcune pronunce (relative al testo legislativo anteriore alla modifica del 2016) sembrano dare per scontato che chi svolga attività giornalistica come collaboratore fisso possa essere iscritto nell’elenco professionisti o nell’elenco pubblicisti dell’albo.
In tal senso – ricorda la Corte – si è espressa Cass. n. 12252 del 2003 ove si legge:
“…questa Corte ha affermato che la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato di collaborazione fissa, fra impresa giornalistica e giornalisti o pubblicisti, esige la continuità della prestazione, il vincolo della dipendenza e la responsabilità di un servizio, tali requisiti sussistendo quando il soggetto, sebbene non impegnato in una attività quotidiana, che contraddistingue invece quella del redattore, adempia l’incarico ricevuto svolgendo prestazioni non occasionali rivolte al soddisfacimento di esigenze informative di uno specifico settore di vita sociale o di specifici argomenti di informazione e assumendo la responsabilità del servizio attraverso la redazione sistematica di articoli o con la tenuta di rubriche, con il conseguente affidamento dell’impresa giornalistica, che si assicura così la copertura dell’area informativa in questione, contando per il perseguimento degli obiettivi editoriali sulla disponibilità del lavoratore anche nell’intervallo tra una prestazione e l’altra” (nello stesso senso Cass. n. 3168 del 1990; n. 7020 del 2000);
Ed, ancora, una recente pronuncia della Sezione Lavoro di questa Corte (sentenza n. 3177 del 2019) ha affrontato la questione oggetto del presente giudizio ed ha affermato che
“l’attività di giornalista svolta da un collaboratore fisso in modo continuativo ed esclusivo a scopo di guadagno, rientra pur sempre nel concetto di professione di giornalista e, in quanto tale, è bisognosa di previa iscrizione nell’elenco dei giornalisti professionisti a pena di nullità del contratto”;
Tale pronuncia ha sostenuto che, per espressa previsione del c.n.l.g. (artt. 2 e 36 ultimo capoverso della nota a verbale),
“i collaboratori fissi sono…anch’essi giornalisti ove prestino attività lavorativa con continuità, vincolo di dipendenza e responsabilità di un servizio e svolgano tale attività con carattere di professionalità e cioè in modo esclusivo”;
aggiungendo come il
“know how richiesto per fare il redattore o il collaboratore fisso giornalista professionista è lo stesso: evidentemente esso non cambia solo per l’esistenza o meno di un vincolo di presenza quotidiana”, richiesta per il primo, laddove dal secondo si esige unicamente continuità;
L’interpretazione fatta propria da tale pronuncia (e che supporta le conclusioni cui è giunta la pronuncia della Corte d’appello di Milano nella controversia tra la sig.ra O. e IL Sole 24 Ore s.p.a.), si presta ad alcune considerazioni critiche.
Infatti, secondo la Cassazione, non si ritiene tale lettura condivisibile in quanto il nuovo testo introdotto dalla L. n. 198 del 2016, sembra volto proprio a superare l’interpretazione adottata dalla giurisprudenza che aveva riferito la previsione dell’art. 45 unicamente ai giornalisti professionisti, escludendone i pubblicisti.
A parere di quel collegio, dal punto di vista sistematico,
non è ravvisabile alcuna ragione logica e giuridica per cui il collaboratore fisso debba necessariamente essere un giornalista professionista e non possa essere un pubblicista, anche ove eserciti di fatto l’attività in modo esclusivo, per scelta o per necessità, risultando le caratteristiche delineate dall’art. 2 c.n.l.g. (continuità di prestazione, vincolo di dipendenza e responsabilità di un servizio) assolutamente compatibili con quelle descritte dalla L. n. 69 del 1963, art. 1 (attività giornalistica non occasionale e retribuita, e non necessariamente esclusiva, potendo il pubblicista esercitare anche altre professioni o impieghi);