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Il principio di diritto
Quella dell’azione civile nel processo penale, delle sue applicazioni e conseguenze, ed in generale il rapporto dell’azione civile rispetto all’azione penale, è sempre stata una questione piuttosto dibattuta ed al tempo stesso affascinante proprio per la sua complessità.
Con la sentenza 28/01/2021, n. 22065, pubblicata in data 04/06/2021, che qui si segnala, le Sezioni Unite penali riescono a chiarire o quantomeno a mettere un punto fermo su alcuni aspetti di questa complessa questione.
In particolare con la pronuncia 22065/2021 le Sezioni Unite si sono pronunciano su una questione molto importante su cui si arrovellano spesso le contrapposte parti di un processo penale e precisamente sul caso di annullamento ai soli effetti civili, da parte della stessa Corte di Cassazione, per la mancata rinnovazione in appello di una prova dichiarativa ritenuta decisiva e sul conseguente rinvio, formulando il seguente principio di diritto:
«in caso di annullamento ai soli effetti civili, da parte della Corte di Cassazione, per la mancata rinnovazione in appello di prova dichiarativa ritenuta decisiva, della sentenza che in accoglimento dell’appello della parte civile avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, abbia condannato l’imputato al risarcimento del danno, il rinvio per il nuovo giudizio va disposto dinanzi al giudice civile competente per valore in grado di appello».
Il caso
Il caso da cui muove la questione è quello in cui, a fronte del contestato reato di lesioni personali per infortunio sul lavoro, in primo grado l’imputato (datore di lavoro) veniva assolto; successivamente la sentenza veniva impugnata dal Pubblico Ministero e dalla persona offesa, costituita parte civile, e la Corte d’appello, ritenuto inammissibile il gravame del Pubblico Ministero per tardività, in accoglimento di quello della parte civile, riformava la sentenza di primo grado, condannando l’imputato, senza tuttavia procedere alla rinnovazione dell’istruttoria.
La sentenza di condanna così pronunciata dalla corte territoriale veniva impugnata in Cassazione dall’imputato e la Quarta Sezione della Suprema Corte, ritenendo la sussistenza di contrasti giurisprudenziali sulle questioni coinvolte nella fattispecie, richiedeva la rimessione alle Sezioni Unite.
L’ordinanza di rimessione
Rileva l’ordinanza di rimessione, in via preliminare, la fondatezza del vizio dedotto con il primo motivo di ricorso dell’imputato, per avere il giudice d’appello riformato ai soli fini civili la sentenza di assoluzione di primo grado – fondata sulla ritenuta non attendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa – sulla base di un diverso apprezzamento di tale prova ritenuta decisiva, senza procedere alla previa rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, in contrasto con quanto affermato in un obiter dictum dalle Sezioni Unite nella sentenza Dasgupta (n. 27620 del 28/04/2016, Rv. 267409) e ribadito dalla successiva giurisprudenza della Corte anche dopo l’introduzione dell’art. 603 c.p.p., comma 3 bis, ad opera della L. 23 giugno 2017, n. 103, art. 1, comma 58.
Ritenuta, pertanto, la fondatezza del ricorso, che comporta l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, l’ordinanza dà conto dei recenti contrasti interpretativi sorti con riferimento all’individuazione del giudice cui rimettere gli atti in caso di accoglimento del ricorso dell’imputato ai soli effetti civili e, in generale, sulla portata dell’art. 622 c.p.p..
Secondo un primo e prevalente orientamento, nel caso di accoglimento del ricorso per cassazione ai soli effetti civili, ai sensi dell’art. 622 c.p.p., l’annullamento della sentenza va disposto con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, perché la ratio della suddetta previsione è quella di evitare ulteriori interventi del giudice penale ove non vi sia più nulla da accertare agli effetti penali (v., tra le tante, da ultimo, Sez. 5, n. 28848 del 21/09/2020, D’Alessandro, Rv. 279599; Sez. 5, n. 26217 del 13/07/2020, Giarmoleo, Rv. 279598; Sez. 1, n. 14822 del 20/02/2020, Rv. 278493; Sez. 5, n. 16988 del 18/02/2020, Novella, non mass.; Sez. 4, n. 13869 del 05/02/2020, Sassi, Rv. 278761).
Alla stregua di un diverso orientamento, affermatosi nel 2019, il rinvio per il nuovo giudizio deve invece essere disposto al giudice penale in tutti quei casi in cui, a seguito dell’annullamento della sentenza impugnata ai soli effetti civili, vi sia ancora una questione sull’an della responsabilità, dovendo questo tema essere accertato secondo le regole probatorie e di giudizio proprie del processo penale (v. Sez. 6, n. 28215 del 25/09/2020, Vangi, Rv. 279574; Sez. 4, n. 12174 del 26/02/2020, Piali, non mass.; Sez. 2, n. 9542 del 19/02/2020, G., Rv. 278589; Sez. 4, n. 11958 del 13/02/2020, Vianello, Rv. 278746; Sez. 3, n. 14229 del 09/01/2020, H., Rv. 278762); decisioni, queste, che si riferiscono, appunto, a casi di annullamento, per la mancata rinnovazione in appello di una prova dichiarativa ritenuta decisiva, della sentenza che, in accoglimento dell’appello della parte civile avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, abbia condannato l’imputato al risarcimento del danno.
L’ordinanza di rimessione segnala, infine, un terzo, isolato orientamento interpretativo, secondo il quale il rinvio al giudice civile ai sensi dell’art. 622 c.p.p., non può essere disposto qualora l’annullamento delle disposizioni o dei capi della sentenza impugnata, concernenti l’azione civile, dipenda dalla fondatezza del ricorso dell’imputato agli effetti penali. Questo principio è stato enunciato in un caso in cui, ritenuto fondato il ricorso dell’imputato sul punto della riforma in appello della sentenza assolutoria di primo grado, pur in assenza di rinnovazione dell’istruttoria ex art. 603 c.p.p., comma 3 bis, è stato disposto l’annullamento senza rinvio della sentenza agli effetti penali a seguito di estinzione dei reati per prescrizione e anche agli effetti civili, in base al rilievo che il rinvio al giudice civile avrebbe imposto a quest’ultimo di procedere all’accertamento del fatto mediante applicazione dei principi di oralità e immediatezza della prova estranei al sistema processual-civilistico (v. Sez. 6, n. 31921 del 06/06/2019, De Angelis, Rv. 277285).
Pertanto, con la succitata ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite è stata sottoposta la seguente questione:
«se in caso di annullamento, ai soli effetti civili, della sentenza di condanna pronunciata in appello senza previa rinnovazione della prova dichiarativa decisiva, a seguito di gravame della sola parte civile contro la sentenza di assoluzione di primo grado, il rinvio debba essere disposto al giudice civile competente per valore in grado di appello o al giudice penale».
Le questioni affrontate dalle Sezioni Unite
Secondo le Sezioni Unite così investite, l’ordinanza di rimessione ha rilevato che la Corte territoriale ha violato un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale, anche in caso di impugnazione della sola parte civile, il giudice del gravame che intenda riformare in peius una sentenza di assoluzione è tenuto a rinnovare le prove dichiarative incidenti in maniera decisiva sulla decisione.
In particolare le Sezioni Unite ritengono di confermare l’orientamento già espresso con la sentenza Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267409, suffragato dalla prevalente giurisprudenza successiva (v. ex pluribus, Sez. 5, n. 15259 del 18/02/2020, Menna, Rv. 279255), secondo il quale, anche nella ipotesi in cui la riforma della pronuncia di assoluzione di primo grado sia sollecitata nella prospettiva dei soli interessi civili, a seguito di impugnazione della parte civile, la rinnovazione della istruzione dibattimentale si profila come assolutamente necessaria ex art. 603 c.p.p., comma 3.
Tuttavia la questione è che l’intervento legislativo che ha introdotto il sopra citato art. 603, comma 3 bis, ha dato vita ad una norma eccezionale, di stretta interpretazione, che individua una nuova ipotesi di ammissione delle prove, limitando l’obbligo alle ipotesi in cui il soggetto impugnante sia il pubblico ministero e non la parte civile (Sez. U, n. 14426 del 28/01/2019, Pavan, Rv. 275112).
La Suprema Corte ritiene che la garanzia del giusto processo implica quindi che i meccanismi e le regole sulla formazione della prova non subiscano distinzioni a seconda degli interessi in gioco e operino anche nel caso in cui la riforma della pronuncia assolutoria di primo grado sia sollecitata nella prospettiva degli interessi civili, a seguito di impugnazione della sola parte civile.
Tale garanzia conduce a ritenere che il giudice d’appello che riformi, anche su impugnazione della sola parte civile ed esclusivamente agli effetti civili, la sentenza di proscioglimento, sulla base di un diverso apprezzamento dell’attendibilità di una prova dichiarativa ritenuta decisiva, sia obbligato a rinnovare, anche d’ufficio, l’istruzione dibattimentale.
La mancata rinnovazione istruttoria
Alla luce delle linee ermeneutiche che in maniera molto interessante ed utile riassumono con il provvedimento che qui si segnala, le Sezioni Unite ritengono che, in accoglimento del primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata debba essere annullata in quanto il giudice di appello, investito dell’impugnazione proposta dalla parte civile ai soli effetti civili avverso la pronuncia assolutoria di primo grado, ha omesso di rinnovare, anche d’ufficio, l’istruttoria dibattimentale ed ha adottato la decisione di riforma sulla base di un diverso apprezzamento dell’attendibilità di prove dichiarative ritenute decisive.
L’individuazione del giudice di rinvio
Chiarito quanto sopra, con il conseguente annullamento agli effetti civili della sentenza impugnata, rimane tuttavia da individuare il giudice competente per il giudizio di rinvio, ossia quello penale ovvero quello civile.
Al fine di cui sopra la Suprema Corte ritiene che si debba considerare, da un lato, l’accessorietà dell’azione civile al processo penale e dall’altro, la tassatività delle eccezioni a questa regola generale contenuta negli artt. 576 e 578 c.p.p., che prevedono specifiche ipotesi in cui è conservato lo spazio decisorio del giudice penale, nonché nell’art. 3 c.p.p., con specifico riferimento alle questioni pregiudiziali.
La Corte investita opina che il fatto che la pronuncia sulle questioni civili sia ordinariamente correlata alla sentenza di condanna è confermato dalla disciplina della declaratoria di non punibilità per la particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p..
E’ incontroverso che la declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto non consente di decidere sulla domanda della parte civile, poiché si può far luogo alle statuizioni civili nel giudizio penale solo in presenza di una sentenza di condanna o nelle ipotesi previste dall’art. 578 c.p.p., tra le quali non rientra quella di cui all’art. 131 bis c.p.. Piuttosto, i diritti del danneggiato potranno trovare tutela nell’ambito dell’azione da proporre in sede civile, tanto più che, ai sensi dell’art. 651 bis c.p.p., la decisione irrevocabile di proscioglimento per particolare tenuità del fatto ha efficacia di giudicato in ordine all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni o il risarcimento del danno.
Sul punto le Sezioni Unite, dopo un lungo, interessante ed articolato excursus normativo e giurisprudenziale giunge alle conclusione che la definitività e l’intangibilità della decisione adottata in ordine alla responsabilità penale dell’imputato, determinate dalla pronuncia con cui la Corte di cassazione annulla le sole disposizioni o i soli capi che riguardano l’azione civile (promossa in seno al processo penale), ovvero accoglie il ricorso della parte civile avverso il proscioglimento dell’imputato, provoca il definitivo dissolvimento delle ragioni che avevano originariamente giustificato, a seguito della costituzione della parte civile nel procedimento penale, le deroghe alle modalità di istruzione e di giudizio dell’azione civile, imponendone i condizionamenti del processo penale, funzionali alle esigenze di speditezza del procedimento.
Pertanto, con l’esaurimento della fase penale, essendo ormai intervenuto un giudicato agli effetti penali ed essendo venuta meno la ragione stessa dell’attrazione dell’illecito civile nell’ambito della competenza del giudice penale, risulta coerente con l’assetto normativo interdisciplinare sopra descritto che la domanda risarcitoria venga esaminata secondo le regole dell’illecito aquiliano, dirette alla individuazione del soggetto responsabile ai fini civili su cui far gravare le conseguenze risarcitorie del danno verificatosi nella sfera della vittima.
L’annullamento e il conseguente rinvio al giudice civile competente comporta, in caso di riassunzione, l’assunzione della veste di attore-danneggiato della parte civile e di convenuto-danneggiante da parte di colui che nel processo penale rivestiva il ruolo di imputato.
In merito, la Corte non ritiene condivisibile l’argomento sviluppato dall’orientamento minoritario sull’effetto pregiudizievole derivante agli interessi della parte civile dal dover espletare dinanzi al giudice civile il proprio onere probatorio come se l’istruttoria già compiuta nella fase penale fosse stata azzerata.
E ciò perchè la giurisprudenza civile di legittimità, riconosce al giudice civile, adito per il risarcimento del danno, l’onere del riesame dei fatti emersi nel procedimento penale, pure conclusosi con sentenza assolutoria.
In tal senso, la Corte si richiama alla sentenza delle Sezioni Unite civili, n. 1768 del 26/01/2011, la quale, pur dando atto che le sentenze di non doversi procedere perché il reato è estinto per prescrizione o per amnistia non hanno alcuna efficacia extrapenale, hanno ammesso il potere del giudice civile, che pure deve interamente rivalutare il fatto in contestazione, di tener conto degli elementi di prova acquisiti in sede penale.
Nello stesso senso, Sez. 3 civ., n. 1665 del 29/01/2016, che, pur rimarcando, in generale, che il principio di autonomia e separazione dei giudizi penale e civile – operante al di fuori delle ipotesi di cui agli artt. 651, 651 bis e 654 c.p.c. – esclude l’obbligo per il giudice di esaminare e valutare le prove e le risultanze acquisite nel processo penale, tuttavia sottolinea che ciò non giustifica, da parte di questi, la totale omessa considerazione delle argomentazioni difensive che si fondino sulle prove assunte nel processo penale o sulla motivazione della sentenza penale attinente alla stessa vicenda oggetto di cognizione del processo civile.
La natura del giudizio di rinvio.
Alla luce di quanto esposto ed argomentato, le Sezioni Unite affermano che il giudizio avanti al giudice civile designato ex art. 622 c.p.p., è da considerarsi come un giudizio civile disciplinato dall’art. 392 c.p.c. e ss., a seguito di riassunzione dopo l’annullamento della Corte di Cassazione ai soli effetti civili.
In tal senso depongono la rubrica e il testo del citato art. 622 che utilizzano il verbo “rinvia” con riferimento all’effetto della statuizione penale, così evocando l’istituto del “rinvio” in sede civile quale disciplinato dall’art. 392 c.p.c., e ss..
La conferma della ritenuta autonomia del giudizio civile di “rinvio“, sia in senso strutturale sia in senso funzionale, si rinviene nella terminologia adottata in alcune decisioni di questa Corte, ove si parla di translatio (v. Sez. 3 civ., n. 15182 del 20/06/2017, Rv. 644747-01; Sez. 3 civ., n. 22570 25/09/2018, non. mass.), ovvero di “separazione del rapporto penale da quello civile” (Sez. 3, n. 11936 del 22/05/2006, Rv. 591088 – 01).
Ulteriore conferma in questo senso può essere tratta dalla lettera dell’art. 623 c.p.p., che espressamente si riferisce “all’annullamento con rinvio“, disciplinando le ipotesi in cui il giudice di rinvio dovrà uniformarsi ex art. 627 c.p.p., alle questioni di diritto decise dalla Corte di Cassazione.
Lo stesso tenore letterale dell’art. 393 c.p.c. – secondo il quale alla ipotesi di mancata, tempestiva riassunzione del giudizio consegue l’estinzione dell’intero processo – avalla la tesi della fase autonoma del giudizio civile di “rinvio” a seguito di annullamento da parte della Corte di cassazione penale.
Dall’affermata natura del giudizio conseguente alla pronuncia di annullamento come giudizio riconducibile alla disciplina del giudizio ex art. 392 c.p.c., consegue che la Corte di cassazione penale non ha il potere di enunciare il principio di diritto al quale il giudice civile dovrà uniformarsi.
Verificatosi un giudicato agli effetti penali, appare ragionevole che all’illecito civile tornino ad applicarsi le regole sue proprie, funzionali all’individuazione del soggetto su cui, secondo il sistema del diritto civile, far gravare il costo di un danno e non la sanzione penale.
La configurazione del giudizio conseguente all’annullamento in sede penale ai soli effetti civili (art. 622) come giudizio autonomo rispetto a quello svoltosi in sede penale consente alle parti di introdurlo nelle forme civilistiche previste dall’art. 392 c.p.c., nonché di allegare fatti costitutivi del diritto al risarcimento del danno diversi da quelli che integravano la fattispecie di reato in ordine alla quale si è svolto il processo penale.
Ciò giustifica anche l’emendatio della domanda ai fini della prospettazione degli elementi costitutivi dell’illecito civile, sempre che la domanda così integrata risulti connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio.
L’emendatio, ma non la mutatio della domanda, garantisce al danneggiato di “espandere” la domanda risarcitoria allegando elementi rientranti nella fattispecie di responsabilità prevista dall’art. 2043 c.c..
Al contempo, l’emendatio consente al danneggiante di evitare di subire la perdita di un grado di giudizio in conseguenza della scelta della controparte.
Secondo le Sezioni Unite, la natura autonoma del giudizio civile comporta conseguenze anche con riferimento all’individuazione delle regole processuali applicabili in tema di nesso causale e di prove, in ragione della diversa funzione della responsabilità civile e della responsabilità penale e dei diversi valori in gioco nei due sistemi di responsabilità.
Il giudizio penale mette al centro dell’osservazione la figura dell’imputato e il suo status libertatis, quello civile il danneggiato e le sue posizioni soggettive giuridicamente protette.
A questo punto le Sezioni Penali richiamano le Sezioni Unite civili che, con la sentenza 11/01/2008, n. 576, hanno affermato che il nesso di causa nella responsabilità civile trae origine dallo stesso fondamento normativo dettato dagli artt. 40 e 41 c.p., per la responsabilità penale, secondo il quale un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, attenuato dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base della quale, all’interno della serie causale, occorre dare rilievo solo a quegli eventi che non appaiano, ad una valutazione ex ante, del tutto inverosimili; tuttavia il nesso causale si differenzia quanto al regime probatorio applicabile in ragione dei differenti valori sottesi ai due processi, vigendo, nell’accertamento del nesso causale in materia civile, la regola della preponderanza dell’evidenza “del più probabile che non“, mentre nel processo penale vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio“.
Così chiarita la questione, ad avviso della Suprema Corte le questioni attinenti al diritto di difesa delle parti possono essere risolte alla luce dei principi che governano l’istruzione probatoria nel processo civile e, cioè, il principio di disponibilità delle prove (art. 115 c.p.c.) e quello del libero convincimento (art. 116 c.p.c.) che giustificano il potere del giudice civile di apprezzare le prove, anche cd. atipiche, ovvero tutti quegli strumenti probatori che, seppure non tipizzati nell’elencazione codicistica, siano astrattamente idonei a concorrere all’accertamento dei fatti di causa.
Insomma, secondo la Suprema Corte il mutamento delle regole probatorie a seguito dell’annullamento ex art. 622, contrariamente a quanto sostenuto dall’orientamento minoritario, non pone problemi sotto il profilo delle esigenze difensive delle parti, danneggiato e danneggiante, che fino a quel momento hanno scelto e commisurato la loro attività difensiva a regole probatorie diverse.
Ciò perchè la giurisprudenza civile di legittimità riconosce, infatti, al giudice civile, adito per il risarcimento del danno, l’onere del riesame dei fatti emersi nel procedimento penale, pure conclusosi con sentenza assolutoria.
Dunque, l’art. 622 c.p.p., permette la restituzione della cognizione dell’azione civile al giudice naturale, confermando che il fatto integra illecito civile, così preservando le peculiarità che distinguono la responsabilità civile rispetto a quella penale.
La conclusione sopra prospettata, sempre secondo la Corte, non comporta la violazione delle regole del giusto processo e dello statuto dell’imputato – convenuto danneggiante – il quale, con pienezza di diritti e nel rispetto del contraddittorio, può prospettare le sue tesi dinanzi al giudice civile.
Sotto tale ultimo profilo la Corte sottolinea che la regola del contraddittorio (art. 2697 c.c.) permea il giudizio civile al pari di quello penale; così come non ravvisa la violazione della ragionevole durata del processo, in quanto la parte civile ha la possibilità di far valere l’azione civile, senza la necessità di instaurare ex novo un giudizio risarcitorio e il giudice civile dovrà tener conto degli elementi di prova acquisiti in sede penale; ed, infine, ritine superfluo rimarcare che le esigenze del giusto processo tratteggiate nell’art. 111 Cost., valgono anche con riferimento al processo civile.