Con una pronuncia del 22/06/2021, ancora non pubblicata, la Corte Costituzionale si è pronunciata dichiarando l’incostituzionalità dell’articolo 13 della legge sulla stampa (L. 08/02/1948, n. 47) che prevede obbligatoriamente la reclusione da uno a sei anni insieme al pagamento di una multa, nel caso di condanna per diffamazione a mezzo stampa compiuta mediante l’attribuzione di un fatto determinato.
In attesa di conoscere le precise motivazioni della pronuncia di incostituzionalità, si riporta testualmente il comunicato stampa della Consulta:
«la Corte costituzionale ha esaminato oggi le questioni sollevate dai Tribunali di Salerno e di Bari sulla legittimità costituzionale della pena detentiva prevista per la diffamazione a mezzo stampa, per contrasto, tra l’altro,con l’articolo 21 della Costituzione e con l’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Le questioni sono tornate all’esame della Corte un anno dopo l’ordinanza n. 132 del 2020 che sollecitava il legislatore a una complessiva riforma della materia. In attesa del deposito della sentenza, l’Ufficio stampa fa sapere che la Corte, preso atto del mancato intervento del legislatore, ha dichiarato incostituzionale l’articolo 13 della legge sulla stampa (n. 47 del 1948) che fa scattare obbligatoriamente, in caso di condanna per diffamazione a mezzo stampa compiuta mediante l’attribuzione di un fatto determinato, la reclusione da uno a sei anni insieme al pagamento di una multa. È stato invece ritenuto compatibile con la Costituzione l’articolo 595, terzo comma, del Codice penale, che prevede, per le ordinarie ipotesi di diffamazione compiute a mezzo della stampa o di un’altra forma di pubblicità, la reclusione da sei mesi a tre anni oppure, in alternativa, il pagamento di una multa. Quest’ultima norma consente infatti al giudice di sanzionare con la pena detentiva i soli casi di eccezionale gravità».
Interessante è la conclusione del comunicato stampa laddove precisa che:
«resta peraltro attuale la necessità di un complessivo intervento del legislatore, in grado di assicurare un più adeguato bilanciamento – che la Corte non ha gli strumenti per compiere – tra libertà di manifestazione del pensiero e tutela della reputazione individuale, anche alla luce dei pericoli sempre maggiori connessi all’evoluzione dei mezzi di comunicazione, già evidenziati nell’ordinanza 132».