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Spesso accade che una parte chieda al tribunale ecclesiastico, l’annullamento del matrimonio per potersi sottrarre all’obbligazione del mantenimento, soprattutto nei confronti dell’ex coniuge.
Tuttavia, va chiarito che l’annullamento del matrimonio concordatario da parte dei Tribunali ecclesiastici, e dunque, da parte della Chiesa, ha senza dubbio l’effetto di porre nel nulla il matrimonio, nel senso del vincolo, per la Chiesa medesima, ma per lo Stato italiano, invece, l’effetto non è affatto automatico.
Infatti, perchè la sentenza ecclesiastica acquisti effetto giuridico anche nel nostro ordinamento occorre la sua delibazione.
Il procedimento di delibazione
Attraverso il procedimento di delibazione viene attribuita efficacia giuridica nello Stato italiano alla sentenza pronunciata da un tribunale ecclesiastico. Nonostante la L. 31/05/1995, n. 218 disciplini il riconoscimento automatico delle sentenze straniere, ancora oggi non si può prescindere dal giudizio di delibazione visto che l’articolo 8, n. 2 dell’Accordo di revisione del Concordato (L. 25/03/1985, n. 121) prevede espressamente che le sentenze ecclesiastiche di declaratoria di nullità di un matrimonio concordatario possano essere rese esecutive nella Repubblica italiana solo instaurando un apposito e speciale procedimento dinanzi alla Corte d’Appello territorialmente competente, ossia dinanzi alla Corte d’Appello nel cui distretto è compreso il Comune ove fu trascritto il matrimonio concordatario.
Ma su quale base la Corte d’appello potrà concedere oppure negare la delibazione di una sentenza ecclesiastica?
Uno dei presupposti che può indurre il giudice italiano a negare la delibazione di una sentenza ecclesiastica, e quindi, il suo ingresso nel nostro mondo giuridico è la effettività del matrimonio.
In un caso recente, ad esempio, la Corte d’appello di Perugia ha negato la delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio concordatario, sul presupposto che nella specie il matrimonio era stato effettivo e durato per oltre tre anni.
La recente sentenza della Cassazione 08/02/2017, n. 3315
Sulla questione, a seguito di impugnazione del richiedente la delibazione, è interventua la recente sentenza Sez. I, 08/02/2017, n. 3315 con cui la Corte di Cassazione ha confermato il diniego di delibazione pronunciata dalla Corte d’appello di Perugia, affermando che:
«il requisito della convivenza ultratriennale dei coniugi, dopo la celebrazione del matrimonio, che, nella specie, ha costituito l’oggetto di specifica eccezione da parte della N., può e deve essere smentito solo da una prova contraria a carico di chi agisce per il riconoscimento della sentenza di nullità del matrimonio concordatario una volta che sia incontestata la fissazione di una comune residenza anagrafica dei coniugi e la volontà di instaurare un rapporto coniugale effettivo».
ed inoltre che
«quello che rileva è la effettività del rapporto coniugale dopo la celebrazione del matrimonio, l’effettivo attuarsi del rapporto coniugale che, nella specie, la Corte di appello ha correttamente ritenuto provato sulla base della comune convivenza e della nascita dei figli ritenendo pertanto destituita di fondamento la affermazione del ricorrente secondo cui i coniugi non avrebbero avuto e attuato alcun progetto di vita in comune».
Le Sezioni Unite del 2014
In verità, la sentenza che qui si segnala non fa altro che seguire il solco già segnato dalla – ormai famosa ed importantissima – sentenza delle Sezioni Unite 17/07/2014, n. 16379 della Cassazione secondo cui:
«la convivenza “come coniugi” deve intendersi ~ secondo la Costituzione (artt. 2, 3, 29, 30 e 31), le Carte Europee dei diritti (art. 8, paragrafo 1, della ConvenzioneEuropea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea), come interpretate dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, ed il Codice civile – quale elemento essenzialedel “matrimonio – rapporto”, che si manifesta come consuetudine di vita coniugale comune, stabile e continua nel tempo, ed esteriormente riconoscibile attraverso corrispondenti, specifici fatti e comportamenti dei coniugi,e quale fonte di una pluralità di diritti inviolabili, di doveri inderogabili, di responsabilità anche genitoriali in presenza di figli, di aspettative legittime e di legittimi affidamenti degli stessi coniugi e dei figli, sia come singolisia nelle reciproche relazioni familiari. In tal modo intesa, la convivenza “come coniugi”, protrattasi per almeno tre anni dalla data di celebrazione del matrimonio“concordatario” regolarmente trascritto, […] è costitutiva di una situazione giuridica disciplinata da norme costituzionali, convenzionali edordinarie, di “ordine pubblico italiano” e, pertanto, anche in applicazione dell’art. 7 Cost., comma 1, e del principio supremo di laicità dello Stato, è ostativa [….] alla dichiarazione di efficacia nella Repubblica Italiana delle sentenze definitive di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici, per qualsiasi vizio genetico del matrimonio accertato e dichiarato dal giudice ecclesiastico nell'”ordine canonico” nonostante la sussistenza di detta convivenza coniugale“.»
Conclusioni
In conclusione, quindi, secondo l’orientamento consolidato della nostra giurisprudenza di legittimità, un matrimonio ‘vero’ nel senso di effettivo, protrattosi per almeno tre anni, impedisce la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario, che, quindi, nel nostro ordinamento rimane priva di giuridico effetto.
Documenti & materiali
Scarica la sentenza Cass. Civ., Sez. I, 08/02/2017, n. 3315
Scarica la sentenza Cass. Civ. Sezioni Unite 17/07/2014, n. 16379