Atto di liberalità mediante bonifico bancario dall’estero e imposta sulle donazioni Cass. Civ., Sez. Trib., 17/03/2021, n. 7428

By | 23/06/2021

CASS. CIV., SEZ. TRIB., 17/03/2021, N. 7428

«La liberalità realizzata mediante bonifico bancario da un soggetto residente all’estero in favore di un beneficiario residente in Italia, è soggetto ad imposta sulle donazioni solo se il denaro, al momento della liberalità, è presente nel territorio dello Stato italiano.

In ipotesi, tale esistenza nel territorio non può presumersi ex art. 2 T.U. successioni e donazioni, posto che, in applicazione analogica di quanto disposto dalla lett. “e)” del terzo comma di tale disposizione, per presumere l’esistenza nel territorio dello Stato del bene denaro occorre la residenza in Italia del soggetto trasferente la disponibilità di esso a favore del beneficiario dell’atto di donazione.

Se manca tale condizione, il bene non si considera esistente nel territorio dello Stato e, pertanto, il relativo atto di donazione da parte del donante residente all’estero non rileva ai fini dell’applicazione dell’imposta sulle donazioni in Italia» (Massima non ufficiale)

FATTI DI CAUSA

[Omissis] impugnava l’avviso di liquidazione n. [Omissis] con irrogazione delle sanzioni previste dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 54 in materia di imposta di registro, notificato dall’Agenzia delle entrate per omesso versamento dell’imposta di donazione in relazione ad un trasferimento di denaro paro 50.000,00. La contestazione scaturiva dalla risposta resa dal ricorrente, cittadino statunitense residente in Italia, ai funzionari dell’Agenzia delle Entrate nell’ambito di altro procedimento aperto nei suoi confronti in materia di imposte sui redditi (questionario sul redditometro), nella quale dichiarava di avere ricevuto dette somme dal compagno, [Omissis], al quale era legato da una “unione domestica” regolarmente formalizzata in Svizzera, ove i due erano in precedenza entrambi residenti, e disciplinata ai sensi della Legge Federale sull’Unione Domestica di coppie omosessuali (LUD) del 18 agosto 2004. L’Ufficio qualificava la dazione di denaro un atto di liberalità soggetto all’imposta di donazione con aliquota dell’8% senza applicazione di franchigia, non assumendo rilievo ai fini fiscali il vincolo para – matrimoniale di derivazione straniera atteso che l’ordinamento italiano non regolamentava alcuna forma di “unione” fra persone dello stesso sesso.

La Commissione Tributaria Provinciale di [Omissis], con sentenza n. [Omissis], respingeva il ricorso. La decisione veniva appellata dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale della [Omissis]che, con sentenza n. [Omissis], accoglieva parzialmente il gravame, qualificando la dazione di denaro tra persone legate de unione omoaffettiva riconosciuta in un ordinamento straniero (alla luce della giurisprudenza CEDU e nazionale) come donazione tra “familiari” o “parenti”, con applicazione dell’aliquota del 6%. Il contribuente propone ricorso per la cassazione della pronuncia svolgendo due motivi.

La parte intimata non ha svolto difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 2 in relazione alla L. n. 218 del 1995, artt. 56 e 57 in ragione dell’errata applicazione della legislazione italiana in materia di imposta di donazione ad un rapporto negoziale extraterritoriale. Il ricorrente censura l’affermazione della Commissione Tributaria Regionale che, aderendo alla tesi interpretativa dell’Agenzia delle Entrate, ha ritenuto esistente in Italia il denaro depositato su conto estero, trasferito mediante bonifico su conto italiano ad un residente italiano, sul presupposto che l’obbligazione della donazione si sia perfezionata in Italia.

Nella specie, invece, secondo il contribuente, ai sensi della L. n. 218 del 1995, art. 56 tale donazione non sarebbe regolata dalla legge italiana. La somma di denaro è stata donata mediante bonifico da un donante cittadino australiano residente in Svizzera a favore di un donatario cittadino statunitense residente in Italia. Il donante, limitandosi a trasferire una somma di denaro in Italia al donatario residente, a mezzo bonifico, non ha espresso alcuna preferenza per la legge applicabile alla donazione.

In tale situazione, ai sensi del D.Lgs. n. 218 cit., art. 56 la legge regolatrice della donazione sarebbe la legge nazionale del donante, quindi la legge australiana, che non fissa particolari requisiti formali per i cosiddetti gift inter vivos. Laddove, al contrario, si ritenesse applicabile al contratto di donazione la L. n. 218 del 1995, art. 57 e quindi i criteri della Convenzione di Roma 1980, la legge applicabile, in quanto legge dello Stato in cui avviene la prestazione caratteristica, sarebbe la legge Svizzera che disciplina il contratto di donazione agli artt. 239 e ss. del codice delle obbligazioni (Legge federale di complemento del Codice civile svizzero, “Libro quinto: Diritto delle obbligazioni” del 30 marzo 1911). Pertanto, quale che sia il criterio di collegamento impiegato, si giungerebbe alla conclusione che la dazione della somma di euro 50.000,00 da A. a V., a mezzo di trasferimento bancario, configurerebbe una donazione disciplinata dalla legge straniera (australiana o svizzera) e non dalla legge italiana. I giudici di appello avrebbero errato nel ritenere esistente in Italia il denaro oggetto di donazione, sulla base del rilievo che il beneficiario era residente in Italia e il contratto si era concluso in Italia con la ricezione delle somme, in quanto ai sensi del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 2, comma 3, si considerano esistenti in Italia “i crediti, le cambiali, i vaglia cambiari e gli assegni di ogni specie, se il debitore, il trattario o l’emittente è residente nello Stato” sicché il denaro oggetto di donazione avrebbe dovuto essere considerato esistente all’estero tenuto conto della residenza del disponente.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 49, lett. a) e b) convertito con modificazioni nella L. n. 286 del 2006, per errata qualificazione giuridica dello status del ricorrente quale “parente” entro il quarto grado, legato invece da unione domestica di diritto svizzero con il donante, equiparabile ai fini fiscali con lo status di “coniuge” ai sensi e per gli effetti del D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 49, lett. a). Il contribuente censura la sentenza impugnata nella parte in cui erratamente assimilerebbe lo status derivante da unione domestica di diritto svizzero tra donante ed il donatario ad un rapporto “familiare”, e in particolare qualificando il donante quale “parente entro il quarto grado” previsto dalla lett. b) del citato art., anziché, più correttamente quale “coniuge” previsto dalla lett. a).

3.Il primo motivo è fondato e va accolto per i principi di seguito enunciati. Dall’accoglimento del mezzo consegue l’assorbimento della restante censure.

3.1.Per l’esame della questione, va preliminarmente qualificato il rapporto negoziale posto in essere dalle parti.

La vicenda processuale riguarda una fattispecie attributiva triangolare a mezzo di istituto bancario compiuta a titolo di liberalità: più precisamente, concerne il trasferimento di denaro (Euro 50.000,00), depositato su conto bancario, eseguito in favore di un terzo in virtù di un ordine di bonifico in tal senso impartito alla banca dal titolare del conto.

L’ordine di bonifico ha natura di negozio giuridico unilaterale, la cui efficacia vincolante scaturisce da una precedente dichiarazione di volontà con la quale la banca si è obbligata ad eseguire i futuri incarichi ad essa conferiti dal cliente, ed il cui perfezionamento è circoscritto alla banca e all’ordinante, con conseguente estraneità del beneficiario, ne cui confronti, pertanto, l’incarico del correntista di effettuare il pagamento assume natura di delegazione di pagamento. Attraverso l’atto di delegazione si realizza il fine di liberalità, producendo l’effetto, eccedente rispetto al mezzo, di una attribuzione gratuita.

Infatti, l’accreditamento nel conto del beneficiario si presenta come il frutto di un’operazione eseguita da un soggetto diverso dall’autore della liberalità sulla base di un rapporto di mandato sussistente tra donante e banca, obbligata in forza di siffatto rapporto ad effettuare la prestazione in favore del beneficiario.

Non appare dubitabile la rilevanza, nel caso in esame, tanto del dato soggettivo rappresentato dall’intenzione del donante, condivisa dal donatario, di provocare un incremento del patrimonio del soggetto beneficiario, con depauperamento del patrimonio del soggetto disponente, attuato mediante l’ordine bancario, quanto del dato oggettivo, rappresentato dall’effettività del trasferimento di ricchezza sul conto riferibile al contribuente. Risulta all’evidenza un arricchimento senza corrispettivo, che si rinviene anche nelle donazioni indirette, come quella in esame, liberalità atipiche risultanti da atti diversi dal contratto tipico di donazione (art. 769 c.c.) ma in grado di attuare, sia pure in via mediata, effetti economici equivalenti a quelli prodotti da detto contratto. Il principio è condiviso da questa Corte che, in fattispecie riguardante la cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito, ha precisato: “La cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito, è qualificabile come donazione indiretta qualora detta somma, all’atto della cointestazione, risulti essere appartenuta ad un solo dei cointestatari, rilevandosi che, in tal caso, con il mezzo del contratto di deposito bancario, si realizza l’arricchimento senza corrispettivo dell’altro cointestatario: a condizione, però, che sia verificata l’esistenza dell’animus donandi, consistente nell’accertamento che il proprietario del denaro non aveva, nel momento della cointestazione, altro scopo che quello della liberalità” (Cass. n. 4682 del 2018). Il fenomeno delle liberalità indirette è certamente rilevante fiscalmente nell’ambito dell’imposta di donazione, in quanto rientra nell’ampia nozione di “trasferimenti gratuiti” che il legislatore del 2006 ha utilizzato per individuare il presupposto impositivo del tributo.

3.2. Ciò premesso, trattandosi di un’operazione negoziale transfrontaliera, va individuata la disciplina applicabile, secondo le norme di diritto internazionale privato e convenzioni internazionali.

Il Capo IX della L. n. 218 del 1995 contiene una sola disposizione in tema di donazioni in cui si prevede innanzitutto il criterio di collegamento della nazionalità del donante, introducendo inoltre la possibilità di scelta di legge del donante. La regolamentazione in esame è poi completata dalla disposizione dell’art. 56, comma 3, rivolto a regolare la validità formale della donazione, tramite il richiamo normativo di due leggi competenti: la legge del luogo dell’atto e la legge nazionale o di residenza se il donante ha scelto di sottoporre a questa disciplina la sostanza della donazione.

Ai sensi del D.Lgs. n. 218 del 1995, art. 13, u.c. “quando la presente legge, dichiara in ogni caso applicabile una convenzione internazionale si segue sempre, in materia di rinvio, la soluzione adottata dalla convenzione.

Il D.Lgs. n. 218 del 1995, art. 57 dispone: “1. Le obbligazioni contrattuali sono in ogni caso regolate dalla Convenzione di Roma del 19.6.1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, resa esecutiva con la L. 18 dicembre 1984, n. 975, senta pregiudizio delle altre convenzioni internazionali, in quanto applicabili”.

Rileverebbe, pertanto, in questo contesto la Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, sostituita (dopo il Trattato di Amsterdam) dal Reg.(CE) n. 593/2008 (c.d. Regolamento Roma I), il quale afferma il principio di un’ampia autonomia delle parti nella determinazione della legge nazionale applicabile al contratto, prevedendo che in assenza di scelta si ricorra alla legge del paese dove è domiciliata la parte che deve effettuare la prestazione caratteristica ed identificando specificamente, per le principali tipologie contrattuali, la legge applicabile in ossequio al criterio predetto.

L’art. 57 ha previsto un mero meccanismo di rinvio ed estensione della disciplina Europea al tempo vigente, stabilendo che le obbligazioni contrattuali sono “in ogni caso” (e dunque al di là dei limiti dell’ambito di applicazione territoriale della convenzione) regolate dalla Convenzione di Roma del 1980 pur senza pregiudizio delle altre convenzioni internazionali, in quanto applicabili. Tuttavia, a seguito della sostituzione della Convenzione di Roma con il Regolamento Roma I, ed in considerazione dell’applicabilità erga omnes del Regolamento, per cui la legge designata trova applicazione anche se deriva da uno Stato non contraente (art. 2), il rinvio operato dalla L. n. 218 del 1995, art. 57 risulterebbe ridimensionato e la fonte principale di determinazione della legge applicabile alle obbligazioni contrattuali è costituita dal Regolamento Roma I.

Ai sensi dell’art. 2 del Regolamento Roma I, le norme di conflitto hanno carattere universale. Esse sono suscettibili di designare tanto la legge di uno Stato membro quanto la legge di uno Stato terzo; una qualità, questa, che le rende idonee a disciplinare anche fattispecie collegate in modo preminente a un paese extraEuropeo.

Nell’ambito dei rapporti transfrontalieri, la scelta della legge operata dalle parti ha l’effetto di determinare la disapplicazione integrale del diritto nazionale applicabile in mancanza di scelta, ivi comprese le norme imperative di tale ordinamento e di assoggettare il rapporto al diritto prescelto.

Nella specie il ricorrente ha precisato di non avere in alcun modo provveduto alla scelta della legge applicabile.

In mancanza di una scelta del diritto applicabile operata dalle parti, l’art. 4 del Regolamento Roma I pone una regola generale che trova applicazione per tutte le obbligazioni, eccetto quelle per le quali il Regolamento stesso prevede una regola speciale.

Secondo l’indirizzo prevalente, la Convenzione di Roma ed il Regolamento Roma I regolano tutte le ipotesi in cui le donazioni non derivano da atti unilaterali ma da manifestazione bilaterali di volontà, aventi come effetti l’arricchimento di una parte e il corrispondente impoverimento dell’altra per spirito di liberalità, e comunque in assenza di corrispettivo. Vi rientrano dunque non solo gli atti di liberalità disposti mediante contratto, secondo quanto prevedono gli orientamenti dei Paesi di civil Law che aderiscono al diritto uniforme, ma anche i corrispondenti atti a titolo gratuito (gifts) del diritto inglese.

Alla luce di tali considerazioni, è pertanto sicura la sottoposizione alla Convenzione di Roma e al Regolamento Roma I delle donazioni indirette (ad es. mutuo senza interessi, acquisto con denaro altrui), della donazione modale, del negotium mixtume donatione, sicché le donazioni di natura non contrattuale non rientrano nell’ambito di applicazione convenzionale e devono essere disciplinate in base ad altre disposizioni di diritto internazionale privato.

La normativa uniforme non precisa che cosa conferisca a un’obbligazione natura “contrattuale”. Pacificamente, la nozione di contratto va ricostruita in chiave autonoma, guardando allo scopo del Regolamento e al suo contesto, e non alle categorie di questo o quell’ordinamento nazionale. In linea di principio, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, la materia contrattuale è stata intesa ricomprendere la fattispecie in cui si riscontri un “obbligo liberamente assunto da una parte nei confronti dell’altra” (C.giust., 17.6.1992, Handte, C-26/91, in Racc.C.giust. CE, 1992, I- 3967). Secondo l’indirizzo espresso dalla giurisprudenza Eurocomunitaria, la disciplina uniforme è certamente applicabile al caso in esame.

3.3. Nell’individuazione delle donazioni non sottoposte alle Convenzioni, ai fini del coordinamento con la regolamentazione stabilita dall’art. 56, si pone la necessità di valutare l’incidenza della disposizione della L. n. 218 cit., art. 57 che estende l’applicazione del diritto uniforme “in ogni caso”.

Tuttavia, nella qualificazione delle donazioni, per le quali appare opportuno individuare una disciplina alternativa, in quanto sottratte all’operatività della Convenzione di Roma ed al Regolamento Roma I, vengono innanzitutto in rilievo le donazioni effettuate nell’ambito familiare.

Nella fattispecie la precisazione è importante, tenuto conto che l’atto di donazione è stato posto in essere da un contribuente il quale era legato con il beneficiario da una “unione domestica” regolarmente formalizzata in Svizzera, ove i due erano in precedenza entrambi residenti, e disciplinata ai sensi della Legge Federale sull’Unione Domestica di coppie omosessuali (LUD) del 18 agosto 2004.

Le donazioni riconducibili alle fattispecie di cui all’art. 1, 2 par. si sottraggono alla disciplina convenzionale, e cioè quelle relative a: “testamenti e successioni, regimi matrimoniali, diritti e doveri derivanti dai rapporti di famiglia, di matrimonio o di affinità, compresi gli obblighi alimentari a favore dei figli naturali” (art. 1, 2 par. lett. b) Conv. Roma 19.6.1980). Analoghe conclusioni devono essere tratte in merito al coordinamento tra l’art. 56 e il Regolamento (CE) 593/2008 del Parlamento e del Consiglio del 17.6.2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I), in quanto quest’ultimo ha sostituito, come abbiamo detto, la Convenzione di Roma (17.12.2009), che ribadisce l’esclusione delle obbligazioni derivanti da rapporti di famiglia o dai rapporti che secondo la legge applicabile a tali rapporti hanno effetti comparabili comprese le obbligazioni alimentari (art. 1; par. 2 lett. b).

Va precisato che non tutte le donazioni effettuate nell’ambito familiare rientrano nelle materie escluse dall’art. 1, 2 par., lett. b) della Convenzione di Roma e del Regolamento Roma I, ma soltanto quelle strettamente previste dal diritto di famiglia, secondo le indicazioni già espresse dalla Relazione Giuliano – Lagarde (G.U. n. C 282 del 31.10.1980 pag.0001-0050) in cui si precisa: “Si tratta poi (lett. b) delle obbligazioni contrattuali relative ai testamenti e alle successioni, ai regimi matrimoniali, ai diritti ed obblighi derivanti dai rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità, comprese le obbligazioni alimentari a favore dei figli naturali. Con tal elenco, il gruppo ha inteso escludere dal campo di applicazione della convenzione il complesso del diritto di famiglia” si precisa poi “a differenza di quanto è stato disposto nell’art. 1, paragrafo 2, dell’avanprogetto iniziale, l’attuale redazione della lett. b) del paragrafo 2 non esclude in modo generale la materia delle donazioni. La maggior parte dei delegati si è pronunciata a favore dell’inclusione delle donazioni che derivano da un contratto nel campo d’applicazione della convenzione, anche quando vengono effettuate nell’ambito familiare, senza peraltro essere comprese nel diritto di famiglia. Rimangono quindi escluse dal campo di applicazione delle norme uniformi soltanto le donazioni contrattuali contemplate dal diritto di famiglia, dai regimi matrimoniali e dalle successioni”. L’indirizzo prevalente della dottrina stabilisce l’inapplicabilità della Convenzione di Roma e del Regolamento Roma I alle donazioni mortis causa e alle donazioni in riguardo di matrimonio.

I casi di esclusione, quindi, si riducono essenzialmente alle figure delle donazioni fra coniugi, della donazione obnuziale e di quella mortis causa.

3.4.Le donazioni contrattuali non escluse dal campo di applicazione della convenzione, come quella in esame (non riconducibile ad rapporto di “coniugio”), risultano, pertanto, disciplinate dalla normativa uniforme (Regolamento Roma I) che, in ragione del suo carattere di specialità, prevale sulle norme italiane comuni di diritto internazionale privato e, dunque, anche sull’art. 56 della legge, nonostante la sfera di applicabilità di tale norma sembri volersi sovrapporre alla disciplina internazionalprivatistica uniforme nella misura in cui sottrae “le donazioni” (senza ulteriori specificazioni) alla disciplina dettata in generale per i contratti per sottoporle ad una disciplina autonoma. Ma alla medesima conclusione, ossia l’applicabilità della disciplina uniforme al posto di quella prevista dall’art. 56 cit., come abbiamo già detto, potrebbe giungersi interpretando la precisazione contenuta nell’art. 57 circa l’applicabilità “in ogni caso” della disciplina uniforme.

3.5. Per quanto qui rileva, dovendosi regolamentare la disciplina fiscale della donazione e non il negozio “donazione”, il Regolamento Roma I non è, comunque, applicabile, atteso che, con riferimento all’imposizione tributaria, per espressa previsione dell’art. 1, la disciplina uniforme non trova applicazione alle materie fiscali, doganali o amministrative (art. 1 Regolamento CE n. 593/2008 cit.). L’art. 1 del Regolamento cit. testualmente dispone che: “Il presente regolamento si applica, in circostante che comportino un conflitto di leggi, alle obbligazioni contrattuali in materia civile e commerciale. Esso non si applica, in particolare, alle materie fiscali, doganali ed amministrative”.

Sotto il profilo fiscale vige, invece, la legge dello Stato italiano, per il principio della territorialità dell’imposta, pertanto, ai fini della imponibilità dell’operazione economica in Italia, occorre verificare se il fenomeno economico della donazione si sia verificato all’interno del territorio italiano.

Il principio di territorialità consente di applicare le norme tributarie dell’ordinamento italiano non solo nei confronti dei soggetti residenti in Italia, ma anche nei confronti di tutti coloro che realizzano un collegamento ragionevole e stabile con il territorio italiano, come definito dalle stesse norme tributarie che regolano l’applicazione dei singoli tributi.

Si comprende quindi che, per effetto di tale legame, la normativa tributaria italiana potrà esplicare i suoi effetti anche su individui stranieri che realizzano determinati presupposti impositivi in Italia. Il principio di territorialità, infatti, è il criterio risolutore attraverso cui regolare la potestà impositiva al di fuori dei confini nazionali, permettendo allo Stato di colpire la ricchezza prodotta all’interno dello stesso da un cittadino straniero. Tale principio regola l’imposizione nei confronti dei soggetti stranieri, richiedendo la presenza di un collegamento con il territorio italiano al fine di ricondurre le manifestazioni di capacità contributiva estere nell’ambito di efficacia e validità della potestà impositiva dello stesso.

Nella specie, non è contestato che il denaro donato, con ordine di bonifico, da un cittadino australiano residente in Svizzera sia stato trasferito in Italia su un conto corrente intestato ad un cittadino, beneficiario, ivi residente.

Con la L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 69 sono stati introdotti interventi modificativi delle disposizioni contenute nel testo unico concernente le imposte di donazioni e successione (TUS), approvato con D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346. Tra le novità è stato previsto anche un particolare trattamento per gli atti di liberalità, come quelle indirette, non formalizzate in atti pubblici. In particolare, l’art. 56 bis, comma 3, del testo unico, introdotto dall’art. 69 cit., comma 1, lett. p) stabiliva che tali liberalità potevano essere registrate volontariamente; in tali ipotesi l’imposta dovuta era determinata sulla base delle aliquote indicate nell’art. 56. Erano escluse dalla tassazione le donazioni di cui all’art. 742 c.c. nonché le donazioni di modico valore. Per l’accertamento delle liberalità indirette era prevista una particolare disciplina. L’art. 56 bis, comma 1 stabiliva, infatti, che si potesse procedere ad accertamento esclusivamente in presenza di due condizioni: a) quando l’esistenza di liberalità risultava da dichiarazioni rese dall’interessato nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di tributi; b) quanto le liberalità anche cumulativamente avessero determinato un incremento patrimoniale superiore a 180.760 Euro con riferimento ad unico beneficiario.

Il quadro normativo è stato successivamente modificato, tra l’altro, dal D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, art. 2, commi da 47 a 53, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 novembre 2006, n. 286.

In particolare, ai sensi dell’art. 2, comma 47, del predetto D.L., “É istituita l’imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposi ioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54”.

L’art. 2 citato, comma 50 ha stabilito che “Per quanto non disposto dai commi da 47 a 49 e da 51 a 54 si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste dal citato testo unico di cui al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001”.

Ne consegue che le liberalità non formalizzate in atti pubblici, sono rimaste imponibili anche nell’ambito della nuova imposta.

L’art. 56 bis, comma 1, pertanto, deve oggi necessariamente riferirsi alle aliquote ed alle franchigie come modificate dalle L. n. 262 del 2006 (Cass. n. 27665 del 2020).

3.6. Ciò premesso, va precisato che il criterio di territorialità dell’imposta sulle successioni e donazioni è dettato dal D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 2 (T.U.S.).

Ai sensi del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 2: “l’imposta è dovuta in relazione a tutti i beni e diritti trasferiti, ancorché esistenti all’estero. Se alla data dell’apertura della successione o a quella della donazione il defunto o il donante non era residente nello Stato, l’imposta è dovuta limitatamente ai beni e ai diritti ivi esistenti”.

Pertanto, in deroga al principio generale sancito dal comma 1, qualora alla data della donazione il donante risiede all’estero, l’imposta è dovuta in relazione ai soli beni e diritti che risultano esistenti sul territorio nazionale. Per la risoluzione della questione è di ausilio la lettura dell’art. 55 del T.U.S.

L’art. 55 del T.U.S. detta le regole della registrazione degli atti di donazione, stabilendo al comma 1 che gli stessi devono essere assoggettati alla registrazione secondo le regole dettate dal D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (T.U.R.) per gli atti da registrare in termine fisso.

In particolare, gli atti soggetti a registrazione, ai fini dell’imposta di registro, sono individuati dall’art. 2 del T.U.R. secondo cui: “Sono soggetti a registrazione.. a) gli atti indicati nella tariffa, se formati per iscritto nel territorio dello Stato; .. d) gli atti formati all’estero.. che comportano trasferimento della proprietà ovvero costituzione o trasferimento di altri diritti reali, anche di garanzia, su beni immobili o azienda esistenti nel territorio dello Stato”.

In applicazione di tale disposizione rilevano, dunque, ai fini dell’imposta di registro e, conseguentemente, ai fini dell’applicazione dell’imposta sulle donazioni, solo gli atti formati all’estero che hanno ad oggetto beni immobili o aziende esistenti sul territorio dello Stato. Al fine di evitare che atti formati all’estero, aventi ad oggetto beni diversi dagli immobili e dalle aziende, eludessero l’obbligo di registrazione ai fini dell’imposta sulle donazioni, con la L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 69, comma 1, lett. n), è stato inserito, dopo il comma 1, art. 55 del T.U.S., il comma 1-bis.

Tale disposizione stabilisce che, ai fini dell’imposta sulle donazioni, “Sono soggetti a registrazione in termine fisso anche gli atti aventi ad oggetto donazioni, dirette o indirette, formati all’estero nei confronti di beneficiari residenti nello Stato”.

Con la richiamata norma, il Legislatore ha inteso quindi affermare l’obbligo della registrazione anche per gli atti donazione “firmati all’estero”, aventi ad oggetto beni diversi da immobili ed aziende esistenti nel territorio dello Stato.

Tali atti, infatti, prima della citata modifica normativa, in virtù dei principi che regolano la territorialità agli effetti dell’imposta di registro (art. 2, comma 1, lett. d) del T.U.R.) non erano soggetti a registrazione in termine fisso in Italia, anche nel caso in cui il donante fosse stato residente nel territorio dello Stato, per il solo aspetto formale della stipula all’estero dell’atto.

La disposizione recata dall’art. 55 del T.U.S., comma 1 bis tuttavia, non ha inteso derogare ai criteri di territorialità previsti, ai fini delle imposta sulle donazioni, dall’art. 2 del T.U.S.

Conseguentemente, ai fini dell’imposta sulle donazioni rilevano e devono essere assoggettati a registrazione in termine fisso anche gli atti formati all’estero aventi ad oggetto beni diversi da immobili e aziende esistenti nel territorio dello Stato, sempreché il donante sia residente nello Stato (art. 2, comma 1, del TUS), ovvero nel caso in cui il donante sia non residente, quando i beni siano “esistenti” nel territorio dello Stato (art. 2, commi 2 e 3, del TUS).

In tale ipotesi, come precisato dalla circolare n. 207 del 16 novembre 2000 dell’Agenzia delle Entrate, dall’obbligo di registrazione dei suddetti atti discende l’assoggettamento del valore di beni donati all’imposta sulle donazioni.

Alla luce del criterio di territorialità, come si è detto, se il donante non è residente in Italia al momento della donazione, l’imposta è dovuta solamente per i beni e “diritti esistenti” sul territorio nazionale.

Da siffatti rilievi, per stabilire se un atto di donazione con bonifico da parte di un donante residente all’estero sia da assoggettare a tassazione in Italia, occorre esaminare se il bene oggetto di donazione possa essere considerato quale bene “esistente “nel territorio dello Stato.

Nella specie, non è contestato che il denaro oggetto di donazione non era presente nel territorio nazionale al momento dell’atto di liberalità, ma era depositato sul conto corrente del donante residente in Svizzera.

3.7.In fattispecie analoga alla questione in esame, è intervenuta l’Agenzia delle entrate, nella risposta di interpello n. 310 del 24 luglio 2019.

Nella risposta di interpello (qualificabile come mero parere non vincolante per il contribuente, per il giudice, per l’Ufficio e per la stessa autorità che l’ha emanato v. Cass. 6699/2014) si precisa che: “Per stabilire se.. l’atto di donazione con bonifico da parte di un donante residente all’estero sia da assoggettare a tassazione in Italia, occorre esaminare se il bene oggetto di donazione possa essere considerato quale bene “esistente” nel territorio dello Stato. Al riguardo, del sopracitato art. 2 del TUS, il comma 3 pone una presunzione di esistenza nel territorio dello Stato, tra l’altro per “..e) i crediti, le cambiali, i vaglia cambiari e gli assegni di ogni specie, se il debitore, il trattario o l’emittente è residente nello Stato; ..” Considerato che il denaro (da trasferire in tale caso mediante bonifico bancario) non risulta tra i beni che, ai sensi del citato comma 3, si presumono esistenti nel territorio dello Stato, si ritiene utile fare riferimento alla disciplina dettata per le altre tipologie di beni, previste dalla citata lett. e), che presentano caratteristiche sostanzialmente analoghe al denaro. Sul punto, si può quindi fare riferimento all’assegno di ogni specie che si presume esistente nel territorio dello Stato “se l’emittente è residente nello Stato””.

Secondo l’Ufficio, per presumere l’esistenza nel territorio dello Stato del bene denaro, occorre la residenza in Italia del soggetto emittente con il quale si trasferisce la disponibilità del denaro a favore del beneficiario dell’atto di donazione.

Se manca tale condizione, il bene non si considera esistente nel territorio dello Stato, pertanto, il relativo atto di donazione da parte del donante residente all’estero non rileva ai fini dell’applicazione dell’imposta sulle donazioni in Italia.

Questa Corte condivide l’interpretazione offerta dall’Agenzia delle Entrate, tenuto conto della piena lettura delle norme sopra richiamate e dei principi di diritto sopra enunciati.

Ne consegue che, nella fattispecie, il denaro oggetto di donazione da parte di un cittadino residente in Svizzera, tramite bonifico bancario, benché destinato ad un beneficiario residente in Italia, non si presume quale bene esistente nel territorio dello Stato, posto che il donante era residente all’estero e, comunque, prima dell’atto di disposizione il denaro si trovava depositato su conto bancario di un istituto svizzero. Di conseguenza, mancando il presupposto della territorialità, il relativo atto di donazione non rileva ai fini dell’applicazione dell’imposta sulle donazioni in Italia.

4.Il giudice del merito non ha fatto buon governo dei principi espressi, pertanto va accolto il primo motivo di ricorso e dichiarato assorbito il secondo mezzo, essendo venuto meno il presupposto per l’applicazione dell’imposta di donazione.

Da siffatti rilievi consegue la cassazione della sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, decidendo nel merito, va accolto l’originario ricorso proposto dal contribuente. Le spese di lite di ogni fase e grado, tenuto conto della novità della questione trattata, vanno interamente compensate tra le parti.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso proposto dal contribuente.

Compensa interamente tra le parti le spese di lite di ogni fase e grado.

Documenti & materiali

Scarica Cass. Civ., Sez. Trib., 17/03/2021, n. 7428

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