Un interessante ed articolato precedente di merito (Trib. Trapani, 28/08/2019), torna sulla delicata questione della responsabilità addebitata dal cliente all’avvocato nell’ipotesi di proposizione tardiva dell’impugnazione (nel caso di specie, l’appello) da parte di quest’ultimo.
La decisione in rassegna, pur considerando comprovata la proposizione tardiva dell’impugnazione da parte del patrono («deve rilevarsi che è pacifico che il ricorso in appello non fu depositato tempestivamente» si legge in motivazione) e pur considerando, altresì, tale circostanza addebitabile al comportamento del difensore (in quanto, come continua la sentenza de qua, in ipotesi «una condotta professionale maggiormente avveduta, consistente nell’accertamento dell’effettiva data di notifica della sentenza al procuratore costituito in primo grado, avrebbe senz’altro consentito il deposito tempestivo dell’appello»), conclude, tuttavia, con il rigetto della domanda risarcitoria sotto il profilo della «mancata prova che dal corretto comportamento tenuto, secondo criteri probabilistici, l’attore avrebbe viste accolte le proprie domande».
Ciò, in applicazione di un principio ripetutamente affermato in giurisprudenza, secondo cui
«la responsabilità dell’avvocato non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell’attività professionale, occorrendo verificare se l’evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente ed, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone».
In altre parole, cioè, in tutti i casi in cui si lamenti la mancata proposizione dell’impugnazione da parte dell’avvocato, il cliente
«non può limitarsi a dedurre l’astratta possibilità della riforma in appello di tale pronuncia in senso a lui favorevole, ma deve dimostrare l’erroneità della pronuncia in questione oppure produrre nuovi documenti o altri mezzi di prova idonei a fornire la ragionevole certezza che il gravame, se proposto, sarebbe stato accolto».
Accertamento, quest’ultimo, da svolgersi secondo la nota logica del “più probabile che non”, ovverosia pervenendo all’accertamento della causalità ipotetica in modo “controfattuale”, ponendo
«al posto dell’omissione il comportamento alternativo dovuto, alla luce del quale verificare se la condotta doverosa avrebbe evitato il danno lamentato dal danneggiato».
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