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Il rapporto tra la sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio e la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità dello stesso, è foriera di varie problematiche che la giurisprudenza di legittimità, negli anni, ha affrontato e tentato di risolvere.
La problematicità dei rapporti tra le due pronunce, poi, assume una rilevanza particolare quando si discute di assegno divorzile ed in gerale di questioni di natura economica.
Il caso
La fattispecie da cui prende le mosse la pronuncia delle SS.UU. n. 9004/2021 che vi abbiamo già proposto, è quella in cui in sede di divorzio, e precisamente durante lo svolgimento del giudizio di appello instaurato dal marito sul punto dell’assegno divorzile riconosciuto alla coniuge dal Tribunale di primo grado, era sopravvenuta la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio e questi, alla luce di ciò, aveva invocato la cessazione della materia del contendere ma si era visto respingere la domanda sul punto ed anzi confermare l’assegno divorzile.
Sulla base di ciò il coniuge obbligato ricorreva in Cassazione ove, sul presupposto di un contrasto giurisprudenziale, la Sezione semplice rimetteva alle Sezioni Unite per la risoluzione del predetto contrasto.
Il contrasto giurisprudenziale
In ordine alla questione in esame, e cioè precisamente l’incidenza sul giudizio di divorzio ed in particolare sulle statuizioni di natura economica, della delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio, in effetti, nel tempo si sono formati sostanzialmente due orientamenti giurisprudenziali in contrasto tra loro e, la sentenza S.U. 9004/2021 che qui si commenta (Sezioni Unite, 31/03/2021, n. 9004) ha il merito di risolvere questo contrasto e fare chiarezza su un tema così rilevante.
Un orientamento
Il contrasto di giurisprudenza che ha indotto la Prima Sezione civile a sollecitare l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite è stato determinato, secondo l’ordinanza di rimessione, da una recente decisione della medesima Sezione, che, ha affermato che il riconoscimento dell’efficacia della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio religioso, intervenuto dopo il passaggio in giudicato della pronuncia di cessazione degli effetti civili del medesimo matrimonio, non impedisce la prosecuzione del giudizio di divorzio ai fini della decisione in ordine alla domanda di determinazione dell’assegno (cfr. Cass., Sez. I, 23/01/2019, n. 1882).
Quella decisione poggia, da un lato, sul presupposto che
“non sussiste un rapporto di primazia della pronuncia di nullità, secondo il diritto canonico, del matrimonio concordatario sulla pronuncia di cessazione degli effetti civili dello stesso matrimonio, trattandosi di procedimenti autonomi, aventi finalità e presupposti diversi“,
e dall’altro che
“la declaratoria di nullità ex tunc del vincolo matrimoniale non fa cessare alcuno status di divorziato, che è uno status inesistente, determinando piuttosto la pronuncia di divorzio la riacquisizione dello stato libero”.
Su questi presupposti, questo orientamento giungr a concluedere che il titolo giuridico dell’obbligo di mantenimento dell’ex coniuge non è costituito dalla validità del matrimonio, oggetto della sentenza ecclesiastica, ma si fonda sull’accertamento dell’impossibilità della continuazione della comunione spirituale e morale tra i coniugi stessi, che è conseguente allo scioglimento del vincolo matrimoniale civile o alla dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario.
Da ciò consegue, dunque che la questione della spettanza e della liquidazione dello assegno divorzile non sarebbe preclusa quando l’accertamento inerente all’impossibilità della prosecuzione della comunione spirituale e morale fra i coniugi (…) sia passato in giudicato prima della delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del medesimo matrimonio, come si verifica nell’ipotesi in cui nell’ambito di un unico giudizio la statuizione relativa allo stato sia stata emessa disgiuntamente da quelle inerenti ai risvolti economici.
L’altro orientamento
Questa impostazione e conclusione, secondo l’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, si pone in contrasto con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di divorzio, che, in riferimento all’ipotesi della sopravvenienza della dichiarazione di efficacia della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio religioso, ne esclude l’incidenza sulle statuizioni di ordine economico conseguenti alla pronuncia di cessazione degli effetti civili, qualora le stesse siano già divenute definitive (cfr. Cass., Sez. I, 18/09/2013, n. 21331; 4/03/ 2005, n. 4795; 23/03/2001, n. 4202), riconoscendone invece l’idoneità ad impedire la prosecuzione del giudizio ed a travolgere la stessa sentenza di divorzio, se in ordine a quest’ultima non sia ancora intervenuta la formazione del giudicato (cfr. Cass., Sez. I, 7/10/2019, n. 24933; 4/06/2010, n. 13625; 4/02/2010, n. 2600; 25/06/2003, n. 10055).
Questo secondo orientamento muove dalla presa d’atto dell’intervenuta abolizione della riserva di giurisdizione in favore dei tribunali ecclesiastici sulle cause di nullità dei matrimoni concordatari (già prevista dalla L. 27 maggio 1929, n. 810, art. 34, comma 4, in esecuzione del Concordato stipulato tra l’Italia e la Santa Sede l’11 febbraio 1929 e venuta meno per effetto della riforma attuata con l’Accordo di Villa Madama del 18 febbraio 1984, ratificato e reso esecutivo con L. 28 marzo 1985, n. 121), per affermare che
“una volta formatosi il giudicato (…) in ordine alla spettanza dell’assegno di divorzio, poichè le parti possono ormai dedurre nel processo per la cessazione degli effetti civili del matrimonio la nullità del vincolo matrimoniale, in forza del principio secondo il quale il giudicato copre il dedotto e il deducibile, la sentenza di divorzio, pur non impedendo la delibazione della sentenza di nullità del matrimonio pronunciata dai Tribunali ecclesiastici, impedisce che la delibazione travolga le disposizioni economiche adottate in sede di divorzio“.
La soluzione del contrasto
Con la sentenza che qui si segnala, la Corte di Cassazione, rievoca il proprio percorso in tema di rapporti tra giudizio di nullità di matrimonio religioso e giudizio di divorzio (Cass. Civ., SS.UU., 13/02/1993, n. 1824), e, riaffermando la netta distinzione ed autonomia esistente tra i due giudizi, ricorda che
il concorso tra la giurisdizione ecclesiastica e quella civile dev’essere risolto secondo il criterio della prevenzione in favore della giurisdizione civile, in virtù del quale a) il giudice italiano preventivamente adito può giudicare sulla domanda di nullità di un matrimonio concordatario, b) il convenuto in una causa di divorzio può chiedere l’accertamento della nullità del vincolo, c) la pendenza del giudizio civile nel quale sia stato chiesto l’accertamento della nullità impedisce la delibazione della sentenza ecclesiastica, d) il giudizio civile può essere paralizzato soltanto dall’intervenuta delibazione della sentenza ecclesiastica, e) il giudicato di divorzio non impedisce la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità, ma non può ritenersi travolto dalla stessa.
In sostanza si precisa che l’esistenza e la validità del matrimonio costituiscono un presupposto della sentenza di divorzio, ma non possono formare oggetto di specifico accertamento suscettibile di dar luogo alla formazione di un giudicato, salvo che le relative questioni non siano state introdotte espressamente dalle parti nel giudizio di divorzio.
Premesso quanto sopra, con la pronuncia n. 9004/2021 cit. le SS.UU. considerano come sia proprio la riscontrata diversità di natura ed effetti tra la sentenza di nullità e quella di divorzio (riconducibile alla diversità di petitum e causa petendi delle relative domande), a giustificare, oltre al riconoscimento della possibilità di una coesistenza tra le due pronunce, nel caso in cui la delibazione della sentenza ecclesiastica intervenga successivamente al passaggio in giudicato di quella di divorzio, l’affermazione dell’inidoneità della prima ad impedire, nel caso in cui lo scioglimento del vincolo abbia luogo disgiuntamente dalla determinazione delle conseguenze economiche, la prosecuzione del giudizio civile ai fini dell’accertamento della spettanza e della liquidazione dell’assegno divorzile.
Il principio di diritto
In conclusione, sulla base di queste argomentazioni sinteticamente richiamare le SS.UU. concludono esprimendo il seguente principio di diritto:
“in tema di divorzio, il riconoscimento dell’efficacia della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio religioso, intervenuto dopo il passaggio in giudicato della pronuncia di cessazione degli effetti civili ma prima che sia divenuta definitiva la decisione in ordine alle relative conseguenze economiche, non comporta la cessazione della materia del contendere nel giudizio civile avente ad oggetto lo scioglimento del vincolo coniugale, il quale può dunque proseguire ai fini dell’accertamento della spettanza e della liquidazione dell’assegno divorzile“.
Una riflessione
Con questa importante pronuncia vengono rimarcate molto chiaramente le differenze tra il giudizio di divorzio e quello ecclesiastico dichiarativo della nullità dello stesso e viene chiaramente ribadita l’autonomia dei due giudizi.
Tuttavia, i due giudizi, pur dotati di autonomia, conservano un’area di sovrapposizione o meglio un’area in cui la pronuncia ecclesiastica (una volta delibata) e ricorrendo determinati presupposti temporali, incide e produce effetti anche sul giudizio di divorzio pendente. Infatti, come si è sopra visto, la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio conserva una sua efficacia nei confronti del divorzio, sempre che esso sia iniziato e pendente; mentre non ne avrebbe alcuno se quello si fosse già definitivo con sentenza passata in giudicato.
Ora, anche se con l’interpretazione giurisprudenziale di legittimità ed in particolare con la pronuncia qui segnalata, quell’area di sovrapposizione si va riducendo sempre di più, vi è da chiedersi se non siano maturi i tempi per rendere i due giudizi completamente autonomi.
Ciò anche perchè si ritiene poco ragionevole affidare al dato temporale l’efficacia di cui sopra si è detto e riconosciuta alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio, rispetto al giudizio di divorzio. In altre parole forse sarebbe il caso di disporre una volta per tutte che la sentenza ecclesiastica (delibata) di nullità del matrimonio è priva di effetti sul giudizio di divorzio a prescindere dal momento in cui essa sopravvenga.
Documenti e Materiali
Scarica la sentenza Cass. Civ., SS.UU. 31/03/2021, n. 9004