PCT: un caso particolare di inefficacia del pignoramento presso terzi Tribunale di Pesaro, ordinanza 10/06/2015

By | 18/06/2015

Il Tribunale di Pesaro, con una lunga ordinanza del 10/06/2015, si pronuncia su una fattispecie di iscrizione a ruolo telematica del pignoramento presso terzi, prospettando una particolare ipotesi di inefficacia del pignoramento stesso ex art. 543, 4° C.P.C. (nel testo novellato dall’art. 18, 1° co, , lett. b) D.L. 12/09/2014, n. 132, conv. in L. 10/11/2014, n. 162).

Il caso

La fattispecie concreta che emerge dal provvedimento in commento può così riassumersi.

Tizio esegue un pignoramento presso terzi a carico di Caio e Mevio, ricevendo la conseguente dichiarazione positiva da due terzi pignorati.

Indi, ritirati gli atti dall’U.G., iscrive a ruolo telematicamente, depositando titolo esecutivo, precetto e atto di pignoramento sottoscritti digitalmente, ma senza l’attestazione di conformità di cui all’art. 543, 4° co., C.P.C.  sopra citato.

Caio e Mevio propongono opposizione, eccependo, tra l’altro, la mancanza dell’attestazione di cui sopra (con conseguente perenzione del pignoramento per mancato deposito nel termine di 30 giorni di cui alla norma del codice di rito appena richiamata) e chiedendo sospendersi l’esecuzione.

Tizio, dal canto suo, resiste, costituendosi e  depositando in udienza gli originali di titolo, precetto e pignoramento, rilevando d’aver ricevuto le dichiarazioni positive dai terzi pignorati di cui sopra e, a quanto è dato capire, sostenendo che il combinato operare di tali fattori avrebbe sanato qualsiasi difetto del deposito. Chiede, pertanto, il rigetto dell’istanza avversaria e l’assegnazione delle somme pignorate.

La decisione

Il G.E., sciogliendo la riserva assunta all’esito di quanto sopra con l’ordinanza in commento, accoglie la richiesta di sospensione dell’esecuzione, opinando, per quanto direttamente attiene alla questione in esame:

1. che, secondo la normativa processual-telematica

«unitamente alla nota di iscrizione devono essere depositate, con la medesima modalità (cioè con modalità telematica) anche le copie conformi degli atti indicati specificamente, nel richiamato art. 543 c.p.c.»;

2. che, in ipotesi, occorre altresì provvedere

«ad unire in atti l’attestazione di conformità ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 3-bis comma 2 L. n. 53/1994»;

3. che, per considerare adempiuto l’onere in questione, non è sufficiente che precetto, titolo esecutivo ed atto di pignoramento

«siano presenti nel fascicolo telematico con la semplice apposizione della firma digitale, ma occorre, in buona sostanza, anche la relativa attestazione»;

4. che, conseguentemente, ove quanto sopra non accada nel termine di 30 giorni previsto dall’art. 543 C.P.C. più volte citato

«è evidente che lo stesso pignoramento, in realtà, ben può perdere efficacia con ogni relativa conseguenza».

Qualche considerazione

L’ordinanza in commento – che, vista la sua natura interinale e la fase processuale in cui vede la luce, si esprime giustamente in termini possibilistici  – sembra comunque collocarsi entro il solco giurisprudenziale che tende a sanzionare con l’inammissibilità gli atti di parte presentanti elementi di difformità rispetto alle prescrizioni contenute nelle varie disposizioni di legge e regolamento dedicate al PCT.

Nel corso dei mesi trascorsi dall’entrata a regime del processo telematico, se ne sono visti diversi esempi: dalla pronuncia di inammissibilità del ricorso per decreto ingiuntivo perché depositato in formato pdf immagine e non pdf testo; a quella d’inammissibilità delle costituzioni telematiche in giudizio operate in difetto del (mero) provvedimento tecnico abilitativo DGSIA; a quella, ancora, dell’inammissibilità del deposito di una memoria istruttoria rifiutata dal sistema a causa della mancata indicazione di alcuni dati (e, dunque, dell’inesistenza di ragioni per rimettere in termine il depositante), etc.

Si tratta di un indirizzo interpretativo che, in definitiva, privilegia il dato tecnico/formale, rispetto a quello sostanziale e che, per questa ragione, come si è già più volte avuto modo di osservare, non appare condivisibile.

Il fine ultimo del processo  – di qualsiasi processo, telematico o meno che sia – infatti, consiste  nel pervenire ad una valutazione del merito delle ragioni addotte dalle parti, superando per quanto possibile gli ostacoli meramente formali (come dimostrano, in ambito civilistico, alcuni formidabili presidi posti a tutela di tale finalità, dal principio di libertà delle forme, al principio della sanatoria per raggiungimento dello scopo) e ricorrendo con la massima cautela e solo come extrema ratio a sanzioni di inammissibilità ricollegate all’inosservanza di tecnicismi procedurali privi di effettivi riflessi sostanziali.

Il che, si aggiunge, vale, o comunque dovrebbe valere, a maggior ragione in tempi di telematica processuale, la quale, se ha facilitato tutta una serie di attività degli operatori, ha tuttavia per contro alzato in modo considerevole l’asticella del tecno-formalismo.

In altre parole, cioè, dinanzi a fattispecie di natura “processual-telematica”, prima di sbarrare alle parti la strada del merito con declaratorie in rito, occorrerà  verificare l’esistenza di soluzioni idonee a superare l’ostacolo formale, consentendo la prosecuzione del processo verso il suo naturale esito (il che, peraltro, è quel che fa l’ormai copiosa giurisprudenza che si discosta dall’orientamento qui criticato. V., ad es. Trib. Roma, Sez. II, 24/01/2015, Trib. Genova, Sez. Lav., ordinanza 01/12/2014, Trib. Vercelli, Sez. Civ., ordinanza 04/08/2014).

Una soluzione diversa è possibile?

Applicando il metodo sopra proposto occorre allora esaminare se, nel caso di cui all’ordinanza de qua, sia configurabile una soluzione alternativa a quella dell’inefficacia del pignoramento adombrata nella specie.

Il disposto testuale dell’art. 543, 4° co.,  c.p.c.

Per rispondere al quesito, cominciamo con l’osservare che il disposto dell’art. 543, 4° co. C.P.C., al secondo periodo, stabilisce che il creditore, ricevuta la restituzione degli atti dall’UG, debba

«depositare nella cancelleria del tribunale competente per l’esecuzione la nota di iscrizione a ruolo, con copie conformi dell’atto di citazione, del titolo esecutivo e del precetto, entro trenta giorni dalla consegna»;

indi, la stessa disposizione, al terzo periodo, prevede che, in tale ipotesi, la conformità «è attestata dall’avvocato del creditore ai soli fini del presente articolo», comminando, infine (ultimo periodo), l’inefficacia del pignoramento

«quando la nota di iscrizione a ruolo e le copie degli atti di cui al secondo periodo sono depositate oltre il termine di trenta giorni dalla consegna al creditore».

Già sotto un profilo testuale, dunque, la disposizione in esame distingue la problematica dell’attestazione di conformità delle copie degli atti in questione (art. 543, 4° co, terzo periodo, C.P.C.), da quella dell’inefficacia del pignoramento per tardivo deposito delle stesse, ricollegando la tardività/inefficacia unicamente al mancato deposito della nota d’iscrizione e delle copie autentiche degli atti «di cui al secondo periodo» (dunque non al terzo) del citato 4° co. dell’art. 543 C.P.C., e non richiamando, invece, tra gli atti da depositare a pena di inammissibilità nel termine prescritto, anche l’attestazione di conformità (presa in considerazione, come si è appena visto, dal terzo periodo dell’art 543, 4° co., C.P.C. cit.).

Ne viene, in prima battuta che, laddove l’attestazione di conformità in questione sia affidata a un documento separato rispetto alle copie di titolo esecutivo, precetto e atto di pignoramento (il che, come si vedrà  al paragrafo successivo, può non accadere), l’eventuale  deposito di essa oltre il termine di cui all’art. 543 C.P.C. sembra destinato a rimanere irrilevante.

E ne viene pure, per converso, che, ai fini della salvezza del termine di perenzione di cui si discute, sembra sufficiente depositare tempestivamente le summenzionate copie (le quali restano comunque “autentiche”, come previsto dalla norma in questione, poiché sono dichiarate tali nella separata attestazione; e ciò del tutto indipendentemente dal momento, anche successivo, in cui quest’ultima venga versata in atti).

Rapporti tra art. 543, 4°co., C.P.C. e “normativa PCT”

La circostanza di cui sopra non ha valenza esclusivamente formale e trova spiegazione considerando che la disposizione del codice di rito appena commentata, si innesta nella complessa rete di norme che regolamentano le modalità di estrazione di copie e la relativa autentica in ambito PCT.

Tale rete di norme, come noto, è frutto della sovrapposizione – alquanto scoordinata – del Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD), del conseguente regolamento di cui al DPCM 13/11/2014, delle disposizioni concernenti  le notifiche telematiche a cura degli avvocati (L. 53/1994) e, infine, del “gruppo” di previsioni che riguardano direttamente il PCT (D.L. 193/2009, conv. in L. 24/2010, D.M. 44/2011, art. 16 e ss. D.L. 179/2012, conv. in L. 221/2012, art. 44 e ss. D.L. 90/2014, conv. in L. 114/2014, art. 18 e s. D.L. 132/2014, conv. in L. 162/2014, Provv. Resp. SIA del 16/04/2014, etc.; per una ricostruzione di tale situazione, si veda la serie di articoli, tuttora in corso di completamento, dedicati al tema e pubblicati, rispettivamente, il 27/04/2015, il 07/05/2015 , il 13/05/2015, il 28/05/2015 e il 05/06/2015) e da tale reticolato normativo può desumersi l’esistenza di una molteplicità di modi tramite i quali è possibile pervenire alla dichiarazione di conformità qui in rilievo.

La normativa applicabile all’autentica e i diversi tipi di essa

Infatti, premesso che, all’interno del plesso “PCT-dedicato” sopra accennato, manca una norma che regolamenti le modalità di creazione dell’attestazione di conformità degli atti del processo esecutivo ex art. 543 C.P.C.,  la disposizione di riferimento diviene di necessità quella di cui all’art. 22, 2° co., CAD (che regola l’ipotesi dell’autentica di copie informatiche di documenti originariamente cartacei, a suo tempo definita come copia “da carta a bit”) e di cui all’art. 4 DPCM 13/11/2014, che costituisce esplicazione regolamentare della prima.

Potranno, dunque, ipotizzarsi le seguenti modalità di attestazione di conformità:

  • la redazione dell’attestazione direttamente all’interno del file pdf costituente la copia per immagine dell’atto di volta in volta interessato (scansione del titolo e/o del precetto e/o dell’atto di pignoramento) tramite l’utilizzo di strumenti atti ad editarlo, con successiva sottoscrizione digitale (art. 4, 3° co., 1^ parte, DPCM 13/11/2014);
  • la redazione dell’attestazione su documento separato, sottoscrizione autografa dello stesso, scansione di esso insieme all’atto cui si riferisce, con successiva sottoscrizione digitale (procedura che sembra analogamente rientrare nell’ambito dell’art. 4, 3° co., 1^ parte DPCM 13/11/2014 appena citato);
  • la redazione dell’attestazione su documento informatico separato, sottoscritto digitalmente, secondo le previsioni di cui all’art. 4, 3° co., 2^ parte DPCM 13/11/2014).

Come è agevole rilevare, allora, solo nella terza delle  ipotesi sopra indicate si è in presenza di un’attestazione “autonoma” rispetto al documento che si autentica ed indi deposita, laddove nelle altre due, la conformità è, per così dire, “incorporata” nella stessa copia che si versa in atti.

In altre parole, dunque, non tutte le modalità di attestazione di autenticità della copia di un determinato originale (sia esso costituito, come nella specie dal precetto, dal titolo o dall’atto di pignoramento) prevedono la redazione di un documento distinto dall’atto cui l’attestazione si riferisce: il che spiega perché il codice di rito non ricollega  l’inefficacia del pignoramento al mancato deposito dell’attestazione in questione, ma solo al mancato deposito delle copie dichiarate conformi e della nota di iscrizione a ruolo, come si è in precedenza rilevato (v. l’ultimo periodo dell’art. 543, 4° co. C.P.C.).

Dunque, venendo al caso di specie, già alla luce di quanto sopra non sembra che il comportamento di parte procedente (consistente nel deposito delle copie informatiche di precetto, titolo e pignoramento, sottoscritte digitalmente, in assenza di apposita dichiarazione di conformità) dovesse essere sanzionato con l’inefficacia del pignoramento, come opinato dall’ordinanza qui in commento (la quale, peraltro, in tema di attestazione di conformità contiene un  richiamo testuale all’art. 3 bis, 2° co., della L. 53/1994, frutto di un probabile lapsus calami, considerando che tale norma concerne le modalità di autentica ai fini della notificazione degli atti a mezzo PEC da parte degli avvocati e non quella attinente all’argomento esame).

Anche a non condividere l’argomento con cui si è concluso il precedente paragrafo, poi, va ulteriormente considerato che il creditore procedente del caso di specie non si era limitato a depositare copie informatiche “semplici” di titolo, precetto e pignoramento, ma aveva provveduto alla loro sottoscrizione digitale.

Ora, la sottoscrizione in forma digitale della copia informatica di un atto originariamente analogico non è elemento irrilevante (come sembra opinare l’ordinanza de qua), ma possiede una sorta di effetto certificante, ai sensi del combinato disposto dell’art. 4, 2° co., DPCM 13/11/2014, secondo cui

«fermo restando quanto previsto dall’art. 22, comma 3, del Codice, la copia per immagine di uno o più documenti analogici può essere sottoscritta con firma digitale o firma elettronica qualificata da chi effettua la copia»,

e dell’art. 22, 3° co., CAD, richiamato dalla norma appena citata, secondo cui

«le copie per immagine su supporto informatico di documenti originali formati in origine su supporto analogico nel rispetto delle regole tecniche di cui all’articolo 71 hanno la stessa efficacia probatoria degli originali da cui sono tratte se la loro conformità all’originale non e’ espressamente disconosciuta».

In altre parole, dunque, la firma digitale della copia informatica di un documento originale cartaceo sembra comportare l’attestazione implicita, da parte del firmatario, della conformità della copia informatica così sottoscritta al suo originale originariamente cartaceo (nella specie costituito, rispettivamente, da precetto, titolo esecutivo ed atto di pignoramento), attestazione destinata a rimanere efficace sino all’eventuale disconoscimento da parte dell’interessato (nella specie, il debitore-opponente), che, in ipotesi, non risulta avvenuto.

E se così è, ciò significa che il deposito di cui all’art. 543, 4° co. C.P.C., più volte citato può legittimamente avvenire – salvo disconoscimento – anche tramite la semplice sottoscrizione digitale degli atti di cui sopra, proprio come accaduto nel caso di specie.

Il che rappresenta un secondo motivo capace di condurre ad una soluzione diversa da quella adottata dal provvedimento in questione.

Infine, anche volendo considerare non fondate le considerazioni appena svolte – e dunque, volendo ritenere che nella fattispecie siano state depositate in atti mere copie “informi” di titolo, precetto ed atto di pignoramento – occorrerà pur sempre domandarsi quale sia l’effettiva rilevanza di tale circostanza (specie alla luce del fatto che non sembra esservi stata, in ipotesi,  alcuna  contestazione di difformità originale-copia depositata).

In proposito soccorre una giurisprudenza edita sul limitrofo tema della idoneità della notificazione di copia “informe” della sentenza a far decorrere comunque il termine breve per l’impugnazione della stessa.

Ci si riferisce, in particolare, al precedente di cui a Cass. Civ., Sez. Lav., 01/12/1984, n. 6272, secondo il quale

«la notifica di copia della sentenza priva della certificazione di conformità è idonea a far decorrere il termine breve di cui all’art. 325 c.p.c. in quanto l’attività di certificazione da parte del cancelliere è precedente e distinta dalla attività di notifica, dalla quale solo la legge fa scaturire le dette conseguenze, a nulla rilevando sulla validità della notifica stessa, l’eventuale invalidità dell’attività certificatoria; peraltro, nel caso, solo la parte intimata sarebbe legittimata ad indicare la nullità sotto il profilo dell’interesse alla conoscenza integrale e corretta del testo della sentenza, e non certo la parte istante che avrebbe concorso a dar luogo all’eventuale nullità»

e di cui a Cass. Civ., Sez. Lav., 19/08/2004, n. 16317, secondo cui contro l’opinione di chi ritiene che la notifica della sentenza fatta in copia non autenticata  non valga a far decorrere il termine breve di cui all’art. 325 c.p.c

«vale il riferimento al disposto dell’art. 137, 2 comma c.p.c. nonché al disposto dell’art. 160 c.p.c. che individua i casi di nullità della notificazione. Sotto altro versante non può essere sottaciuto che nella fattispecie in esame non è stata addotta nessuna difformità tra il contenuto della copia della sentenza e quello dell’originale per cui deve essere condiviso l’indirizzo giurisprudenziale che ha statuito che anche la notifica della sentenza fatta in copia non autenticata è idonea a far decorrere il termine breve dell’impugnazione».

Sembra, dunque, potersi far discendere da tale indirizzo l’ulteriore conclusione che, in realtà, la mancanza di autentica della copia rispetto all’originale – quantomeno in tutti i casi in cui l’interessato ometta di dedurre specifici profili di difformità tra i due documenti (così spostando l’asse della problematica, da un ambito meramente formale ad un profilo di carattere sostanziale) – si colloca nell’ambito delle mere irregolarità processuali, come tali irrilevanti ai fini della validità dell’atto e dei suoi effetti.

E poiché, se non si va errando, nel caso di specie tali specifici motivi di difformità non erano stati proposti, vi era un ulteriore spunto per concludere nel senso dell’irrilevanza delle particolari modalità con cui era avvenuto il deposito de quo.

Conclusioni

In conclusione, dunque, per rispondere alla domanda che funge da titolo al paragrafo che precede: sì, una soluzione diversa era – ed è – possibile.

Ragion per cui si continua ad auspicare che la giurisprudenza torni a relegare le questioni meramente formali al rango marginale che hanno, così come insegnato dalla Corte Costituzionale, la quale, in tema di inammissibilità processuali, ha più volte fatto richiamo alla

«esigenza di non contrastare la realizzazione della giustizia senza ragioni di seria importanza, ed ai criteri di equa razionalità nella valutazione di profili di forma, quando questi non implichino vera e propria violazione delle prescrizioni tassativamente specificate nella legge processuale» (C. Cost., 06/12/2002, n. 520).

Scarica l’ordinanza Trib. Pesaro 10/07/2015

Author: Avv. Luca Lucenti

Avvocato, nato a Pesaro il 20 ottobre 1961. Iscritto all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 1991. Abilitato al patrocinio dinanzi alle magistrature superiori dal 2004. Responsabile di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833

5 thoughts on “PCT: un caso particolare di inefficacia del pignoramento presso terzi Tribunale di Pesaro, ordinanza 10/06/2015

  1. Mirco Minardi

    Bravissimo, un commento davvero ben fatto.

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  2. Fabrizio Sigillò

    Non manca niente. Completo e condivisibile.

    Reply
  3. Luca

    Bravo Luca. Direi che hai colto nel segno.

    Io aggiungerei che bisogna evidenziare ancora un parallelismo con il procedimento di merito.
    Come tutti sanno, è ritenuta valida l’iscrizione a ruolo di una causa mediante deposito di copia “velina” dell’atto notificato.
    In realtà, l’art. 165 c.p.c. prevede espressamente che l’originale dell’atto di citazione debba essere inserito nel fascicolo, contestualmente all’iscrizione a ruolo (ovvero,nel caso di più notifiche, entro 10 giorni dall’ultima notifica…).
    Tuttavia, è stato chiarito dalla Suprema Corte che il mancato deposito dell’originale non costituisce motivo di improcedibilità (o inefficacia dell’atto introduttivo!), ma un “vizio” formale, sanabile fino all’udienza.
    La necessità di depositare l’originale, infatti, trae origine dalla necessità di verificare la presenza del mandato in fase antecedente al giudizio.
    Di conseguenza, risulta assurdo che una procedura esecutiva venga dichiarata inefficace per la mancanza (al deposito) della certificazione di conformità, sia perché gli atti sono necessariamente firmati digitalmente, sia perché l’eventuale certificazione di conformità (la classica dicitura prevista anche per le notifiche in proprio….ad esempio), nel caso specifico sarebbe comunque un .pdf non nativo e così anch’esso scansionato…
    In sostanza diverrebbe un circolo vizioso..

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